“Come cantava Britti, sono una su un milione”. Così, con ironia e schiettezza, con profondità e leggerezza in Tu sei oncologica, vero? Francesca Masi, psicologa di professione, racconta del modo in cui ha affrontato la sua malattia e continua a farlo ogni giorno. Lei è una su un milione perché quello da cui è affetta è un cancro ematologico che generalmente colpisce pazienti maschi con più di sessant’anni. Francesca, invece, ha appena 40 anni, con un figlio di sei, il ‘Panda Minore’. A cui cerca di spiegare cosa sta accadendo, a cui si preoccupa di lasciare un ‘vaccino contro la depressione’, riuscendo a rimanere la sua mamma, così come lui la conosce “rompiscatole, polemica, esigente, libera dagli schemi, forte, allegra, viva”, nonostante la malattia.
Francesca Masi ha saputo di avere il cancro due anni fa. Due anni di domande, informazioni, visite, incontri con medici che l’hanno aiutata e con altri che l’hanno fatta arrabbiare davvero. Lei lo racconta con lucidità: “Non ho mai pensato di avere il diritto a essere sana. Ma il diritto ad essere curata decentemente, questo, come tutti, credo di averlo!”. Per questo ‘Tu sei oncologica, vero?’ (nelle librerie dall’11 maggio) è un testo di medicina narrativa che potrebbe dare qualche utile suggerimento anche a chi per lavoro si relaziona ogni giorno con persone malate e a chi, come l’autrice, combatte contro una patologia che uccide.
A riconoscere il valore del libro edito da Maria Margherita Bulgarini, anche gli autori della prefazione, il professore Alessandro Maria Vannucchi, responsabile del Centro di ricerca e Innovazione delle Malattie mieloproliferative, Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Azienda ospedaliera universitaria di Firenze e della postfazione, Stefano Bolognini, psichiatra e psicoanalista, presidente per sette anni dell’International Psychoanalytical Association. Francesca Masi sarà ospite al Salone del Libro di Torino domenica, 13 maggio. Si tratta di un testo che parla anche di comunicazione: quella di una figlia con la madre, di una mamma con il figlio, di una donna con l’uomo che ama, di una paziente con medici e infermieri che non riescono a fare un prelievo a chi potrebbe un giorno essere costretta a un trapianto, la comunicazione tra amiche che condividono la battaglia contro il cancro, di una psicologa con la sua psicanalista piuttosto che con i suoi pazienti. L’autrice, infatti, alterna la narrazione di momenti personali a quelli trascorsi in ospedali e studi medici per curarsi e, ancora, a quelli al lavoro con i suoi pazienti. La comunicazione, anche con se stessa, è sempre schietta, diretta. A tratti pungente. Francesca manda a quel paese se c’è da farlo, commenta con sarcasmo alcuni comportamenti dei personaggi che incontra. Riuscendo così a non far provare mai pietà al lettore e strappandogli anche qualche risata. Nonostante tutto.
La notizia e la cura – La mielofibrosi colpisce una persona su 350mila l’anno ed è causata dalla mutazione di un gene che si chiama Jak2. “Mi immagino questo Jack che ad un certo punto si trasforma da buono in cattivo – scrive nel libro – invece della spada o dei denari o della coppa, prende in mano un mitra e inizia a sparare a tutti i globuli rossi con cui prima andava a scuola…”. Ma in realtà ci sono altre complicazioni, legate alla malattia di Francesca. In primis il fatto che nel suo caso le mutazioni siano in realtà tre. Così lei sta seguendo una terapia sperimentale da 100mila euro l’anno pagata da una casa farmaceutica in cambio di un diario giornaliero e dei suoi dati sensibili. “La mia fabbrica fa i globuli rossi difettosi: invece che belli tondi, escono con la cresta!” spiega Francesca al figlio. E così il Panda Minore trova un nome alla cura: “La Vitamina Parrucchiera”. Per ora sta funzionando ma, qualora non fosse più così, l’unica speranza di sopravvivere è quella di fare il trapianto di midollo osseo. “Le statistiche degli esiti del trapianto nella mielofibrosi non sono incoraggianti – spiega tra le pagine del suo racconto – sopravvive benino un paziente su tre. Gli altri due o muoiono, o sopravvivono messi male e moriranno presto”. Si arriva così a due conclusioni, che l’autrice mette sul tavolo fin da subito, tanto per restare con i piedi per terra. Numero uno: “Il trapianto di midollo nella mielofibrosi, rispetto alle altre malattie del sangue, è il trapianto più difficile che ci sia”. Numero due: “Nel gruppo degli sfigati che hanno questa malattia, sono più sfigata della media”.
La battaglia – Da qui inizia una battaglia. Fatta di ostacoli e di persone che l’autrice incontra sulla sua strada. Alcune l’aiutano, altre le rendono le cose ancora più complicate. Il dottore che vuole farle togliere la milza perché “è rara” e “fa curriculum toglierla”, il dottor Saputello, la dottoressa Kryptonite, il Prof, la Santadonna (la sua psicanalista), la dottoressa Dagliocchidolcieiriccioliscomposti. Un esempio è quello di un medico che, durante una delle prime visite a Francesca, si rivolge a un collega presente nella stanza e gli dice: “Vieni a vedere! Ha una scatola da scarpe in pancia! Non si riesce a misurarla da tanto che è grande!”. Allo sportello di un ospedale, invece, le viene detto: “Tu sei oncologica, vero? Se sei oncologica devi essere in menopausa!”. Questo prima di allora nessun medico gliel’aveva detto. L’autrice lo fa notare, ma si sente rispondere: “Guarda, te non te lo vuoi sentir dire, ma te lo dico io che lavoro qui da vent’anni, ti metteranno in menopausa indotta”. Francesca racconta piccoli aneddoti che descrivono violazioni della privacy, mancanza di delicatezza all’ordine del giorno, a cui lei si ribella: “Battuta dal cancro, sì. Battuta dalla cialtroneria di un gruppo di becere infermiere di provincia, no”. Il suo narrare non è mai disperato. Anzi, è fatto di ironia e rabbia. Poi però c’è il pensiero del figlio senza di lei: “E il mio Panda Minore chi lo crescerà? Chi gli farà i grattini sulla schiena? Come farà senza il mio odore? Vedo lacrime che gocciolano dentro la tazzina del caffè. Devo chiamare qualcuno e farmi spiegare perché stamani piovono lacrime in cucina”.
Obiettivo: “Penso alla mia testa” – I momenti di turbamento si alternano a quelli di estrema lucidità in cui l’autrice decide cosa fare mentre i dottori pensano a curare il suo cancro: “Io devo pensare alla mia testa”. Intanto perché per lei è importante essere ancora in grado di fare il suo lavoro, quello della psicologa (“Il mio lavoro sono io. È la mia passione, è quello che sono e che dovevo essere da sempre”), ma soprattutto per il Panda Minore. “Se io riesco a restare me stessa fino in fondo, la parte più profonda di lui di fronte allo sconforto, si aggrapperà a questa cosa…starà male, malissimo, ma non si lascerà andare mai…qualsiasi cosa gli accadrà, lui avrà dentro di sé la sua mamma, che è rimasta viva anche con la morte addosso, e non si lascerà morire, perché troverà dentro se stesso ‘il mio vaccino’”.