Il disgelo testimoniato da una lettera. La benedizione di Virginia Raggi e i suoi alla prosecuzione della metro C fino a piazzale Clodio (o “forse Farnesina”) è lontano anni luce, nei tempi e nei modi, dai giorni del no alle Olimpiadi. Non è un caso che la sindaca abbia scelto di comunicare la volontà di proseguire con la realizzazione tanto vituperata linea verde scrivendo una lettera al quotidiano Il Messaggero, di proprietà di uno dei principali costruttori della fin qui costosa infrastruttura, il Gruppo Caltagirone. Una missiva in cui la prima cittadina, rivolgendosi formalmente al direttore del giornale romano, sottolinea come, grazie a “quella collaborazione tra Istituzioni che i cittadini chiedono” e “grazie all’impegno di tutti”, “non c’e’ bisogno di andare in nord Europa, a Shanghai o a Dubai per vedere opere di alta ingegneria”. Passaggio fondamentale quest’ultimo, considerato che lo stesso gruppo – dopo aver dato vita durante gli anni 2000 a molti dei nuovi quartieri periferici a cavallo del Grande Raccordo Anulare – negli ultimi tempi ha spesso lasciato intendere di preferire i mercati stranieri.
Nella conferenza stampa di venerdì, in cui la sindaca annunciava la tanto agognata apertura della stazione di San Giovanni prevista per il 12 maggio, è stata ribadita anche la volontà del Campidoglio di effettuare una project review del percorso (che però rimarrà sostanzialmente quello) e una revisione contrattuale ed economica che si basi non più sulla Legge obiettivo 2001 ma sul nuovo codice degli appalti del 2016. Circostanza che, qualora si verificasse, costringerà il Comune a sciogliere il contratto in essere con il Consorzio Metro C scpa formato da Vianini Lavori (Gruppo Caltagirone), Astaldi, Ansaldo, Ccc e Cmb e a indire probabilmente un nuovo bando di gara, al quale gli stessi soggetti, se vorranno proseguire nella costruzione dell’opera, dovranno ripartecipare. Ma Raggi sembra rassicurare: “Senza i ritardi e gli sprechi del passato realizzeremo ciò che i cittadini ci chiedono”, scrive la sindaca al Messaggero, in quanto “investire su Roma è importante perché significa investire sull’Italia”. Un segnale a chi detiene il potere economico, sul giornale appartenente principale gruppo imprenditoriale cittadino: “Le grandi aziende possono tornare a lavorare anche nella loro nazione”.
I tempi cambiano, dunque, e già il discusso cambio di passo sullo Stadio della Roma aveva lasciato intravedere un’evoluzione. Solo il 18 febbraio 2016, sulla metro C l’attuale presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito, scriveva su Facebook che “quando entreremo in Campidoglio altro che sconti, randellate! Si cambia registro (di contabilità) con Caltagirone e Soci”. Dai fischi dell’inaugurazione della Nuvola di Fuksas, oggi Virginia passa agli applausi dell’assemblea annuale Acea, la società capitolina partecipata al 51% dal Campidoglio, al 5,006% da Francesco Gaetano Caltagirone e al 23,33% da Suez Sa (a sua volta partecipata proprio da Caltagirone), che quest’anno distribuirà oltre 100 milioni di dividendi. Tutto ciò con buona pace di alcuni meet-up di ‘puristi’ che ancora chiedono di rispettare la battaglia sull’acqua pubblica e scindere la società (quotata in borsa) sottraendo il ramo della gestione idrica. I primi consensi a scena aperta, in realtà, arrivarono a novembre, durante l’assemblea Acer, l’importante associazione che raccoglie l’impresa edile romana, quando Raggi annunciò, fra le altre cose, “un piano per superare il disagio abitativo”. Anche questo un segno dei tempi, come testimonia – appunto – la stessa lettera al Messaggero.