“Intraneo” e “con un ruolo apicale” nella ‘ndrangheta. Da ieri Alessandro Figliomeni, l’ex sindaco di Siderno del Pdl poi candidato dal centrosinistra a consigliere regionale nel 2010, può essere definito tecnicamente un mafioso.
Le accuse che la Dda di Reggio Calabria gli ha contestato nell’ambito dell’inchiesta “Recupero” contro la cosca Commisso hanno il sigillo della Corte di Cassazione che ha confermato la sentenza d’appello del 2016. Alessandro Figliomeni è stato condannato definitivamente a 12 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Nel 2010, pochi mesi dopo la campagna elettorale per le regionali, assieme a una cinquantina di persone il politico della Locride era stato destinatario di un provvedimento di fermo eseguito dalla squadra Mobile che grazie alle intercettazioni aveva scoperto che il progetto di allontanarsi dalla Calabria alla volta dell’Australia. Secondo Figliomeni è “uomo politico di riferimento per il sodalizio criminale a Siderno ed a livello regionale, promuovendo anche in tale veste gli interessi della cosca e favorendo, anche nell’adozione di specifici provvedimenti, personaggi intranei o vicini al sodalizio”.
Per gli inquirenti, infatti, il sindaco della cittadina della Locride sarebbe affiliato con il grado di “santista” alla cosca Commisso, una delle consorterie più potenti e ricche della ‘ndrangheta reggina. Una famiglia mafiosa, capace di interfacciarsi con i locali del Canada e dell’Australia, guidata fino a pochi anni fa Giuseppe Commisso detto “il Mastro”. Nella sua lavanderia la squadra Mobile aveva piazzato le microspie che registrarono alcune conversazioni nelle quali si faceva riferimento proprio a Figliomeni: “…pure il sindaco di Siderno è un cristiano come noi”, “il sindaco di Siderno lo sapete che è capo locale a Siderno”.
Si tratta di intercettazioni da cui è chiaro come non ci sia una netta separazione tra i boss e i colletti bianchi che siedono sui banchi della politica. Pupari e pupi che a volte si sovrappongono. Dalle carte dell’inchiesta “Recupero” è chiaro che i candidati che dovevano rappresentare la cosca nelle istituzioni li stabiliva il boss Giuseppe Commisso. Il “Mastro”, infatti, secondo la Dda, sembrava “possedere una macchina infernale, capace non solo di ‘favorire’ l’esito elettorale, bensì di distruggere, sul piano politico, qualsiasi avversario”. Ritornando alla sentenza di ieri, oltre ai 12 anni inflitti a Figliomeni la Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello anche per gli altri 18 imputati condannati a pene che arrivano fino a 24 anni di carcere.