“La ricerca geofisica di alto livello è arrivata a ottenere la prova definitiva: la camera nascosta a fianco o dentro la tomba di Tutankhamon non esiste”. L’annuncio di Mostaf Waziri, segretario generale del consiglio supremo delle Antichità dell’Egitto, chiude la questione. Cancella il sogno di scoprire la tomba di Nefertiti, la sposa reale del faraone Akhenaton. Fine.

Dopo meno di tre anni, il sogno è dissolto. Ad agosto 2015 Nicholas Reeves, un archeologo britannico della University of Arizona, rivela al mondo di avere trovato la chiave per svelare uno dei maggiori enigmi dell’epoca egizia. Ci sono le prove che la sepoltura della regina vissuta nel XIV secolo a.C, si trovi all’interno della celebre tomba di Tutankhamon, riportata alla luce nel 1922 nella Valle dei Re dall’archeologo inglese Howard Carter.

Dopo meno di tre anni il sogno dissolto. Merito di un team di studiosi coordinati da Franco Porcelli del Politecnico di Torino, che, utilizzando apparecchiature sofisticate, ha scansionato sia orizzontalmente che verticalmente l’area adiacente alla tomba. Verificando che non c’è nulla.

Tra l’annuncio di Reeves e quello di Waziri, le ricerche. Una giapponese e una del National Geographic, con risultati opposti. Tra i due annunci l’orgoglio egiziano nell’alimentare la fondatezza dell’ipotesi. “Le ricerche effettuate con l’uso di georadar nella tomba di Tutankhamon hanno dimostrato che dietro i muri Nord e Ovest si celano camere nascoste, ne siamo sicuri al 90%”, dichiarava il ministro delle Antichità egiziano Mahmoud el Damanti a luglio 2017.

Certo non sono mancati gli inviti alla prudenza. Come quello di Zahi Hawass, egittologo di primo piano e già ministro per le Antichità del governo egiziano, che sosteneva che non vi erano prove concrete a favore della tesi e che tutto il clamore che aveva sollevato si sarebbe spento con un nulla.

Ma a prevalere è stata la febbre della scoperta del secolo. Perché? Semplice. Nefertiti è un’autentica guestar dell’antico Egitto. Non solo storicamente e archeologicamente. Anche nella cinematografia. Come dimostrano le numerose pellicole nelle quali la regina è protagonista. Da “Nefertiti, regina del Nilo”, film del 1961 con Jeanne Crain e Amedeo Nazzari a “Nefertiti resurrected” del 2003, passando per “Nefertiti, figlia del sole”, del 1994 con Michela Rocco di TorrePadula e Ben Gazzara. Protagonista al cinema, ma anche in letteratura. Due titoli tra i molti, scorrendo tra i più recenti. “Nefertiti, la regina del sole”, di Christian Jacq e “Enigma Nefertiti. Il più grande mistero dell’antico Egitto” di Brando Quilici e Zahi Hawass, entrambi del 2017.

Nefertiti, intriga, aldilà dei dati reali, incontrovertibili. La regina attrae i ricercatori, insomma la comunità scientifica. Ma anche le persone comuni. Così il richiamo che esercita è indubitabilmente forte. Perché è conosciuta più di quanto lo siano figure ugualmente di rilievo dell’antico Egitto. Perché è conosciuta al punto da essere identificata tout court con la civiltà fiorita nella vallata del Nilo. Così il parlarne, oppure scriverne, interessarsene in qualunque modo lo si faccia, è sufficiente per assicurare visibilità.

La questione della tomba di Nefertiti, per ora, assomiglia tanto ad un capitolo della saga di Indiana Jones. Molti effetti speciali e poco altro.

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