Laura Imai Messina si è trasferita in Giappone tredici anni fa, dove ha conosciuto anche suo marito e sono nate le sue due figlie. Dopo un dottorato e un Phd, insegna in alcune università della capitale. Si è dovuta reinventare in una cultura molto lontana dalla nostra, e degli italiani dice: "Mi sono resa conto che siamo troppo critici nei confronti delle nostre città"
Si tende sempre a cercare una spaccatura tra Oriente e Occidente, ma in realtà la differenza stessa può essere fonte di equilibrio, nel momento in cui impariamo ad accettarla. È questa la più grande lezione che Laura Imai Messina, scrittrice e docente universitaria, ha ricevuto dal Giappone. Lezione che cerca di trasmettere con i suoi romanzi; l’ultimo, edito da Piemme, è Non oso dire la gioia, storia attraversata dai temi della maternità e dell’amicizia, sempre in bilico tra est e ovest.
Nata a Roma nel 1981, Laura si è trasferita a Tokyo tredici anni fa: “Studiavo Lettere alla Sapienza, quando per caso mi sono imbattuta in un corso di cultura giapponese ed è stato un colpo di fulmine – racconta -. Così, come regalo di laurea, ho chiesto di trascorrere un anno in Giappone per fare ricerca”. E non è più tornata: un dottorato di primo livello in Culture comparate e un Phd, infine la docenza a contratto in alcune università di Tokyo. A fare da collante a tutti i suoi studi c’è ovviamente la scrittura: “È una passione e un bisogno che mi porto dietro da sempre, ma sono riuscita a concretizzarla solo vivendo qui – sottolinea -, questo Paese mi ha imposto un rallentamento e mi ha regalato l’attenzione per ogni singola espressione”.
Ma oltre al lavoro c’è stata un’esistenza da reinventare: “Al mio arrivo mi sono sentita estremamente sola e alle prese con un sistema di comunicazione lontano anni luce dal nostro – ricorda -. Noi andiamo subito dritti al sodo e facciamo amicizia facilmente, mentre qui ci vogliono tempi biblici per guadagnarsi la fiducia di qualcuno”. Imparare la lingua, però, ha facilitato le cose: “Oggi mi esprimo con molta più calma e mi rapporto in modo diverso a seconda dell’interlocutore che ho davanti”, sottolinea. Una prospettiva lontana anni luce da quella cui era abituata: “Noi italiani tendiamo sempre a fare paragoni e a rendere le scelte dolorose – spiega -, qui ho capito che non c’è bisogno di trovare una soluzione a tutti i costi, a volte è necessario darsi del tempo, è poi lui a sbrogliare la matassa”.
In Giappone Laura ha anche conosciuto suo marito, diventato poi padre dei loro due bambini: “Ci siamo incontrati alla fine del mio master di due anni, quando già avevo deciso di restare – sottolinea -, bisogna essere convinti quando si fa una scelta di vita così importante, altrimenti quando il rapporto finisce tutto crolla”. Il suo amore per l’Italia, però, è rimasto immutato: “Ormai vengo da turista, quindi la mia è una visione privilegiata – premette -, eppure mi sono resa conto siamo troppo critici nei confronti delle nostre città”.
Oggi che ha imparato a prendere il meglio da entrambi i Paesi, si diverte anche a mescolarli nei suoi romanzi: “I primi tempi facevo una netta distinzione tra Tokyo e Roma, tra personaggi giapponesi e italiani – ammette -, ma con il passare del tempo queste differenze si sono attenuate e mi regalano punti di vista inediti”. La sua città d’adozione, poi, è una fonte d’ispirazione continua: “Nonostante qui la dimensione pubblica e privata siano separate in modo netto, la città è fatta perlopiù di vetrate e ogni mattina dal treno vedo tantissima vita scorrermi davanti agli occhi, dai ragazzi che si allenano in palestra alle donne che si fanno la messa in piega – racconta -, tutti spunti che vanno a popolare le mie storie”. Sempre strizzando l’occhio alla gioia: “Ho capito che in età adulta la felicità è una scelta e una responsabilità, è la manutenzione costante delle proprie emozioni – conclude -. Per questo dobbiamo prendere in mano la nostra vita e portarla dove più ci piace”.