Due esponenti del clan in azione nella periferia sud-est della Capitale. Motivo: volevano un pacchetto di sigarette saltando la fila. La notizia anticipata da Repubblica: hanno colpito massacrato di botte un'invalida perché si era intromessa nella discussione, poi hanno distrutto anche il locale e picchiato il titolare
Un’esibizione di forza mafiosa, una violenza brutale per intimidire chi non ha rispettato la loro volontà, anche quando questo significa servirli per primi senza farli aspettare. Perché “qui comandiamo noi e se non fai quello che diciamo, ti ammazziamo”, parola dei Casamonica. Qui è un bar della periferia sud-est di Roma, roccaforte del clan sinto che da anni spadroneggia tra Cinecittà e Tor Bella Monaca e fa soldi con usura e droga. È il giorno di Pasqua quando due esponenti entrano per prendere delle sigarette a alla fine compiono un massacro, frustando con una cinghia e prendendo a pugni una ragazza disabile solo perché aveva osato intromettersi in una questione d’onore: il barista non li aveva serviti per primi. E allora, dopo la ragazza, i due hanno colpito anche lui e gli hanno distrutto il locale.
Il fatto, riportato da Repubblica, è avvenuto nel territorio “militarizzato” dei Casamonica. In quel pezzo di Roma, il clan ha vedette a ogni angolo, le loro ville si contraddistinguono per lo sfarzo ostentato. È anche quello un modo per intimorire e celebrare la potenza criminale. Avvenne pure in occasione dei funerali di zio Vittorio, tre anni fa: apparve una carrozza, c’era pure l’elicottero a volteggiare in cielo.
È il giorno di Pasqua, racconta il quotidiano romano. Antonio Casamonica e il cugino Alfredo Di Silvio entrano in un bar di via Salvatore Barzilai: vogliono le sigarette e pretendono di essere serviti subito. Il barista non se ne accorge, loro sbraiato e interpretano il gesto come uno sgarbo non tollerabile. Nel locale tacciono tutti. L’unica a rispondere è una giovane: “Se il bar non vi piace andate altrove”. Un affronto che accende la violenza. Stando a Repubblica, Casamonica le strappa con una mano gli occhiali e li lancia dietro al bancone, poi si sfila la cinta dai pantaloni e la passa a Di Silvio. La donna, disabile, viene frustata. Poi calci, pugni fino a quando crolla a terra. Nessuno si muove, nessuno interviene per difenderla. “Se chiami la polizia ti ammazziamo”, le gridano dopo averle strappato di mano il telefono. La giovane non conosce i suoi aguzzini.
Il barista, l’unico a soccorrerla nel locale ormai vuoto, invece sa bene chi sono: i Di Silvio abita a due passi, i Casamonica poco più in là. “Torneranno“, dice l’uomo alla disabile consigliandole di andare via. Passa mezz’ora e Alfredo Di Silvio in effetti rientra, accompagnato dal fratello Vincenzo. Ed è di nuovo violenza: vetrine rotte, tavoli e sedie rovesciate. I due urlano al proprietario che in quel posto “comandiamo noi” e che “ora questo bar lo devi chiudere, altrimenti sei morto “. Prima di andar via, lo picchiano.
L’uomo riporta 8 giorni di prognosi, trenta per la ragazza. Le vittime denunciano. Un altro affronto. Intollerabile pure questo. La famiglia si muove di nuovo, sempre stando a quanto scrive Repubblica. Questa volta è Enrico, il nonno dei fratelli Di Silvio, già condannato per sequestro di persona e lesioni, a presentarsi nel bar. Chiede un caffè e contestualmente il ritiro immediato delle accuse. Il barista è terrorizzato, chiude il locale per due giorni. A reagire, in questo caso, è moglie. Convince il marito a riaprire, perché quell’attività commerciale è la loro vita.