Mondo

Spagna, la fine dell’Eta l’hanno decisa i giovani

Per decenni è stato il sogno di tutti i giornalisti spagnoli: annunciare la fine dell’Eta.

È avvenuto il 3 maggio 2018. Con poco clamore, però. Al di là degli annunci ufficiali, infatti, la banda terroristica da anni era stata indebolita, falcidiata da arresti, sequestri di arsenali, perdita di peso politico, distacco della società civile dalla causa indipendentista. Un sondaggio di qualche mese fa, pubblicato da Euskobarómetro, segnala che la metà dei baschi è decisa a voltare pagina, mentre un’inchiesta realizzata dall’università privata basca di Deusto, uno degli atenei più antichi d’Europa, mette in luce come l’83% degli studenti rifiuta con nettezza la logica violenta dell’Eta (solo il 2% arriva a giustificarla).

Statistiche che marcano la distanza profonda tra la società e quanto riportato nella “Declaración final de Eta al pueblo vasco” nella quale la banda terroristica – illudendosi di avere ancora un ascendente sul popolo – chiude lo storico comunicato affermando: “Eta  surgió de este pueblo y ahora se disuelve en él” (Eta nacque da questo popolo e ora in esso si dissolve).

Il braccio armato dell’indipendentismo si è nutrito della cultura della sinistra radicale, la izquierda abertzale, tuttavia per giustificare il “conflitto” con Madrid – la cui origine è fissata nel bombardamento di Guernica per mano dell’aviazione nazista, con la preventiva autorizzazione del caudillo Francisco Franco –  ha seguito traiettorie proprie delle mafie tradizionali.

853 uccisioni in attentati, 21 vittime solo nell’esplosione al supermercato Hipercor di Barcellona, l’atto più sanguinoso col quale in un placido pomeriggio di giugno del 1987 l’organizzazione decise di cambiare strategia portando la morte, in forma di strage, tra i civili.

E poi il tema dell’autofinanziamento, con il ricorso all’impuesto revolucionario, termine politico con connotazioni romantiche, in realtà un vero e proprio “pizzo” imposto agli imprenditori della florida regione basca. Un’estorsione durata decenni, propagata mediante famigerate lettere di invito al sostentamento della causa, che ha reso al gruppo milioni di euro. E ancora rapine alle banche, le quali secondo alcune stime avrebbero consentito di incassare cifre pari a una ventina di milioni di euro, e sequestri di persona. Tra gli ottanta e i primi anni ’90 sono stati 55 gli imprenditori sequestrati, per quattro di loro l’azione si concluse con l’omicidio, solo cinque furono liberati dalle forze dell’ordine, 13 gambizzati prima della loro liberazione. Con questo sistema, l’Eta raccolse oltre cento milioni di euro, secondo le fonti di polizia il riscatto medio si aggirava sui 380 mila euro, importo duplicato se il sequestrato era sposato con prole.

Somme necessarie per la logistica, per l’acquisto di armi ed esplosivi, per i membri dell’organizzazione, si calcola che negli anni Duemila il ‘salario’ medio per ciascun terrorista fosse di 600 euro, nei decenni precedenti era garantito un sostegno economico anche alle famiglie dei carcerati, prigionieri politici per la banda. Tutto secondo logiche camorristiche, con l’unica variante del movente politico, quello che muoveva il braccio politico dell’Eta, il partito abertzale Batasuna, a convocare cortei o scioperi generali, manifestazioni seguite e partecipate. Qualora l’adesione non fosse stata spontanea, rimaneva l’arma della pressione basata sul terrore, espediente usato contro la famosa libreria Lagun (compagno in euskera, la lingua basca) di San Sebastian, colpevole di aver rifiutato, nel giugno del 1983, la serrata voluta da Batusuna per commemorare un etarra morto mentre manipolava un ordigno.

Paradosso di una libreria con tendenze di sinistra, per anni riferimento della resistenza al franchismo, che – come racconta lo scrittore basco Fernando Aramburu nel best seller Patria – ha dovuto soffrire le violenze e le intimidazioni di un gruppo dichiaratamente di sinistra.

Il 3 maggio 2018 si è potuto scrivere a caratteri cubitali: “El final de Eta“.

Una fine lenta, graduale, avviata con l’inaugurazione del museo Guggenheim di Bilbao, evento che introdusse i Paesi baschi nel XXI secolo, e compiuta con l’esplosione dell’altra grande questione politica iberica, quella catalana, dove la causa indipendentista viene rivendicata con forza ma pacificamente, senza messaggi video con incappucciati, senza spari alla nuca.