Un messaggio che riporta l’Argentina all’incubo del 2001. Ora è ufficiale: la seconda economia dell’America Latina è di nuovo in crisi e chiede aiuto al Fondo Monetario Internazionale per ottenere una “linea di sostegno finanziario“. Lo ha annunciato il presidente Mauricio Macri in un breve messaggio registrato diffuso a reti unificate, spiegando che il contatto con il Fmi si è reso necessario per proseguire con “l’unico cammino che esiste per uscire dalla nostra situazione”.

La situazione è quella di un peso ai minimi storici, con il prezzo del dollaro che proprio martedì 8 maggio ha raggiunto a Buenos Aires un suo nuovo record storico, al di sopra della barriera dei 23 pesos: un anno fa ne bastavano 15. Per arginare il crollo la Banca Centrale dell’Argentina ha alzato i tassi tre volte dal 27 aprile, portandoli al 40%, ma nonostante la maxi stretta monetaria il peso ha continuato a perdere valore.

“Il contesto mondiale è cambiato a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del prezzo del petrolio, e l’Argentina resta fra i Paesi che più dipendono dal finanziamento estero”, ha sottolineato Macri, che ha parlato con la direttrice del Fmi Christine Lagarde. Ed è per questo che il suo governo ha deciso di negoziare una “linea di appoggio finanziario” con Washington. “Più certezza riusciamo a creare sui mercati internazionali e meglio è”, ha detto il ministro del Tesoro argentino, Nicolas Dujovne, che non ha però chiarito l’entità di una possibile assistenza del Fmi né i termini finanziari e temporali ai quali sarà legata.

Il ministro ha detto poi che il governo Macri promuove una “politica di correzione graduale” che sta cominciando a dare risultati, ma ha anche ricordato che l’Argentina “è esposta alla volatilità dei mercati. Il cambio di contesto globale, come l’aumento dei tassi negli Usa ha portato a uno spostamento del flusso di capitali dalle economie emergenti a quelle centrali”. Resta da chiarire l’entità di una possibile assistenza del Fmi – gli analisti già parlano di almeno 20 miliardi di dollari – e i termini ai quali sarà legata.

Le parole di Macri e Dujovne contrastano fortemente con quelle del presidente della Fed, Jerome Powell, secondo il quale “ci sono buoni motivi per sostenere che la normalizzazione delle politiche monetarie continui ad essere gestibile” per le economie emergenti, e risulta “esagerato” il ruolo che viene dato alla riserva Usa sui paesi come l’Argentina.

Venerdì scorso, la Banca Centrale argentina aveva già portato i tassi al 40%, mentre il governo aveva ridotto il suo obiettivo di deficit fiscale per il 2018, dal 3,2 al 2,7%, per tentare di frenare il crollo del peso, che nelle ultime due settimane ha perso oltre il 12% del suo valore rispetto al dollaro. L’impennata del dollaro, dovuta essenzialmente a fattori esterni, complica ancora di più la situazione per Macri, che non riesce a frenare l’aumento dell’inflazione, innescata dall’abolizione dei sussidi sul consumo di energia ed altre misure dell’esecutivo. A questo si deve aggiungere il peso politico, in un paese come l’Argentina, del tornare a negoziare prestiti con il Fmi. Quando, nel settembre del 2004, l’allora presidente Nestor Kirchner annunciò il rimborso dell’ultimo prestito concesso dall’organismo internazionale, la notizia fu festeggiata come una vittoria della sovranità nazionale, e il primo passo verso il recupero dalla profonda crisi del 2001, segnata dal più grande default sul debito estero della storia.

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