A Palermo è guerra di copia e incolla tra la procura e il tribunale sulla liberazione di alcuni presunti affiliati ai clan di Agrigento. Un botta e risposta finito al centro dell'interesse della procura generale della Cassazione, che ha chiesto chiarimenti sul caso alla procura generale del capoluogo siciliano
Il Riesame ha scarcerato alcuni presunti boss perché nell’ordinanza del gip c’erano ampie parti copiate dalla richiesta d’arresto dei pm. I quali però non ci stanno e chiedono alla Cassazione di annullare quelle scarcerazioni. Il motivo è sempre lo stesso: lunghe parti della motivazione erano uguali tra loro. A Palermo è guerra di copia e incolla tra la procura e il tribunale. Un botta e risposta finito al centro dell’interesse della procura generale della Cassazione, che ha chiesto chiarimenti sul caso alla procura generale del capoluogo siciliano.
A raccontare la vicenda è il quotidiano online livesicilia.it. Alcune settimane fa il Riesame ha infatti annullato 28 dei 63 arresti eseguiti contro i clan mafiosi di Agrigento e provincia. Secondo i giudici Giuliano Castiglia, Lorenzo Iannelli ed Emilio Alparone la motivazione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari Filippo Serio era carente. E in certi casi il gip si sarebbe limitato a ripetere lunghi paragrafi contenuti nella richiesta d’arresto della procura di Palermo.
Il procuratore aggiunto Paolo Guido e il pm Claudio Camilleri, Calogero Ferrara e Alessia Sinatra, però, fanno ricorso in Cassazione contro la liberazione di quelli che considera “pericolosi uomini di Cosa nostra“. E secondo i pubblici ministeri anche il Riesame avrebbe copiato e incollato le stesse frasi per motivare la scarcerazione di Vincenzo Cipolla e Angelo Di Giovanni. Per l’accusa sono affiliati ai clan di Favara e San Biagio Platani, ma sono stati liberati dopo il ricorso degli avvocati Giuseppe Barba e Giovanni Castronovo.
“Paradossalmente, quella stessa tecnica motivazionale che il Tribunale imputa al Gip come viziata lo stesso organo giudicante la segue pedissequamente, tant’è che le ordinanze, chiunque sia il relatore o il collegio, sono redatte sostanzialmente in fotocopia”, scrivono i pm nel ricorso. Al quale allegano i passaggi contestati: i giudici motivano la scarcerazione di Di Giovanni utilizzando le stesse frasi – e persino il nome – dell’altro indagato Cipolla.