Il senatore John McCain ha un tumore aggressivo, individuato inequivocabilmente nel suo cervello, che lo condanna a morte in tempi probabilmente brevi. La malattia lascia molti – sia tra i politici che tra i comuni cittadini, americani e non – con un senso di amarezza profonda, perché John Sidney McCain III (questo è il suo nome completo) non è un uomo qualunque, è davvero un eroe che ha servito la sua patria prima da soldato – come aviatore per la Marina Usa  e poi come senatore, eletto al Congresso in rappresentanza dell’Arizona.

Il suo eroismo come pilota di aereo da guerra durante gli attacchi americani nel Vietnam del Nord non emerge alle cronache per spettacolari azioni in combattimento, ma in una di queste fu ferito gravemente e fatto prigioniero dai nord vietnamiti dove rimase segregato per un periodo lunghissimo (circa sei anni, fino al 1973) mantenendo però sempre con coraggio e dignità il suo ruolo di soldato e di servitore della patria.

Certamente, per chi è un convinto pacifista (anch’io lo sono) questo “eroismo” espresso in una guerra sanguinaria e di aggressione (poi finita male) come quella dell’America al Vietnam del Nord potrebbe un pochino indignare, ma John McCain proviene da una famiglia dove la carriera militare, l’onore e lo spirito di servizio sono sempre stati lo scopo stesso della loro vita. Suo padre e suo nonno furono entrambi ammiragli a quattro stelle della Marina militare Usa e anche lui non si è mai sottratto ai suoi doveri persino quando questi potevano mettere a repentaglio la sua stessa vita. Questo carattere, questa determinazione e questa esperienza fatta nella sofferenza e nelle privazioni della lunga prigionia gli hanno insegnato anche i valori e la caparbietà propri della resistenza. Valori che poi ha mantenuto intatti anche nella sua attività politica quando nel 1987 il popolo dell’Arizona lo scelse a rappresentarlo nel Congresso degli Stati Uniti.

Benché provenisse da una famiglia di militari di altissimo rango lui non ha tuttavia mai tenuto verso l’organizzazione e gli eletti di livello superiore del Partito repubblicano (erede del glorioso Grand old party di Abraham Lincoln, liberatore degli schiavi) un rapporto di sudditanza. Lui ha sempre interpretato la sua elezione rendendo merito al principio cardine della democrazia, cioè mettendo tutte le proprie capacità ed esperienze innanzitutto al servizio del popolo che lo ha eletto.

Infatti, è proprio a questo criterio che si è allineato quando ha deciso di smarcarsi dalle decisioni dei leader del suo partito che intravedevano finalmente la possibilità di cancellare l’odiata (dai repubblicani) riforma dell’Obamacare (la Sanità aperta a tutti voluta da Barack Obama). Invece, dopo otto anni di sconfitte contro il muro eretto dai democratici (e da Obama, che da capo di Stato non avrebbe mai firmato l’abolizione della sua legge) ora che tutto il potere è nelle mani dei repubblicani e quell’obbiettivo sembrava raggiungibile, ecco arrivare l’eroe del Vietnam a rompere le uova nel paniere facendo mancare nel Senato Usa proprio quell’unico voto necessario a cancellare l’aborrita legge della discordia, guadagnandosi per questo la gratitudine dello stesso Obama.

Benchè gli interessi di Donald Trump, di fatto, coincidano sempre molto poco con quelli del suo partito (e contrariamente a quanto è bravo a raccontare, anche con quelli del suo popolo) forse proprio per questo tra lui e McCain il rapporto di reciproca stima ha da tempo raggiunto il livello infimo. Un sentimento reciproco cominciato già nel 2016 quando Trump – durante una delle sue bravate retoriche a caccia di voti facili – arrivò persino a deridere “l’eroismo a buon mercato” di McCain ottenuto a suo dire “semplicemente facendo il prigioniero” (!). Proprio lui, che ha schivato la leva al tempo della guerra in Vietnam con una serie di rinvii alquanto sospetti. Non stupisce dunque che fonti vicine allo stesso senatore abbiano recentemente dichiarato che McCain non gradirebbe la presenza dell’attuale presidente Usa ai suoi funerali e di desiderare, invece, che l’elogio funebre venga affidato a Obama e George W. Bush.

McCain – che nelle primarie repubblicane 2008 da lui vinte, dovette arrendersi solo a un Obama la cui invincibilità si sarebbe sicuramente confermata anche nel 2016 contro Trump se Barack non avesse dovuto ritirarsi a causa dell’insormontabile secondo mandato – è stato certamente il candidato repubblicano alla presidenza più serio e capace dai tempi di George H. W. Bush. Ma la “ruggine” che lavora invisibile nel Gop contro Trump ormai raggiunge molte firme di alto livello dell’establishment repubblicano. A McCain si aggiunge infatti per intero la “dinasty” Bush, che non ha neppure invitato Donald ai recentissimi funerali di Barbara Bush (prima moglie e poi mamma di un presidente Usa), anticipando quindi le dichiarazioni di McCain, che proprio non può sopportare “l’empatia” di Trump per i rifugiati e la sua totale indifferenza per tutti coloro che soffrono persecuzioni e discriminazioni; ingiustizie in vertiginoso aumento (anche) negli Usa da quando “the Donald” si è insediato alla Casa Bianca.

È sufficiente leggere la storia umana e politica dei due lontani contendenti per vedere agevolmente quale enorme differenza valoriale e morale sussista tra di loro, eppure succede a loro quel che capita spesso nella vita a molti: il meno meritevole raggiunge con ogni mezzo il massimo della ricchezza e del potere mentre chi sacrifica se stesso al dovere e agli ideali subisce spesso oltre alle sofferenze anche lo scherno dei furbacchioni privilegiati.

Ma è anche grazie agli eroi come McCain che la civiltà progredisce. E quando morirà non basteranno le basse insinuazioni di un potente a cancellare il grande esempio di un eroe che se ne va. Anche se lascerà un vuoto immenso, il suo ricordo sarà imperituro.

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