L’Italia uscita dalle urne di marzo 2018 è un Paese rinnovato, anche anagraficamente. A lungo il potere esecutivo e quello giudiziario hanno sacrificato il ruolo della legislazione, giacché una valanga di leggi e leggine governative – spesso approvate da voti di fiducia – ha inondato il Paese, ormai incastrato nell’ordinamento più farraginoso e contorto d’Europa, dove le cose più semplici diventano complicate e la complessità del mondo contemporaneo viene ridotta a slogan twittati con noncuranza.

La democrazia è uno sgabello a tre gambe, un sistema isostatico direbbe un ingegnere. La democrazia soffre se una gamba non lavora o, peggio, si spezza. Negli ultimi 30 anni due dei tre poteri fondamentali – esecutivo e giudiziario – hanno soverchiato il terzo. Al potere giudiziario è toccato giocoforza un ingrato lavoro per arginare la corruzione e la criminalità organizzata, alle volte tutte assieme. In un’epoca dove i soldi sono tutto, l’esecutivo ha richiamato ogni energia della comunità perché governa le entrate e la spesa, con uno Stato dal peso economico sempre più ingombrante. Trent’anni fa il bilancio dello Stato valeva 2/5 del Pil; e lo Stato produceva anche panettoni e conserve, forniva energia e telefonia, garantiva le comunicazioni via cielo, mare e terra. Oggi la spesa pubblica è circa la metà del Pil. Insomma, bisogna seguire il profumo dei soldi per capire dove e come va il Paese.

Oggi il Parlamento potrebbe riprendere il suo ruolo, ristabilendo un giusto equilibrio. I soldi sono importanti, soprattutto per un genovese, ma non tutto. Non va dimenticato che leggi significative, dallo Statuto dei lavoratori al divorzio e all’aborto, non hanno il nome dei ministri proponenti, ma si riconoscono dal numero e dall’anno. Caso mai la gente ricorda i nomi dei parlamentari che le proposero, come i deputati Antonio Baslini e Loris Fortuna o degli studiosi che le prepararono, come Gino Giugni. E ha battezzato alcune leggi di alto profilo con nomi estranei alla politica, come per la legge Basaglia. Soprattutto, sono leggi nate in Parlamento.

Per iniziare, il Parlamento può fare (a costo zero) parecchie cose sensate. Non chiamiamole riforme, perché da 50 anni ogni riforma viene somministrata come una panacea, ma poi – nei fatti – la gente si accorge di aver ingerito uno dei farmaci magnificati dal dottor Salasso. Chi era? Il sedicente medico, amico di Doppio Rhum, il quale poi sarebbe il padre di quel Capitan Miki che diede il nome alla serie a fumetti della mia adolescenza. Abolire parecchi farmaci inutili, scaduti o avariati sarebbe un inizio promettente.

Questo Parlamento avrà la capacità di sfoltire una legislazione parossistica? L’ultimo decreto del Miur (Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale, a.a.2018) ha una premessa di quasi mille parole che rimanda a una ventina tra leggi e decreti. Chissà cosa ne pensano le aspiranti matricole. Lo stesso accade per il recente decreto sulla Procedura di formazione delle commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale, dove le polemiche delle ultime tornate costringono i docenti a compulsare tutte le norme “sottese” prima di fare domanda.

Il Parlamento può cassare il guazzabuglio se segue la lezione di Thomas Jefferson, uno dei padri della democrazia moderna: “Credo che abbiamo più meccanismi di governo di quanto sia necessario, troppi parassiti che vivono sul lavoro delle persone operose”. È anche una questione di libertà, per non cadere nel pessimismo cosmico di Jean-Jacques Rousseau: “Gli inglesi pensano di essere liberi. Lo sono solo durante l’elezione dei membri del parlamento”. I nuovi parlamentari possono contraddire il filosofo svizzero se agiscono in sintonia con lo statista americano. E possono anche smentire il giudizio cinico e tagliente di Ambrose Bierce, uno scrittore che amo grazie al mio indimenticabile professore d’inglese al liceo: “Il Legislatore? Chi si reca nella capitale del proprio Paese per accrescere il proprio capitale personale, ovvero colui che legifera guadagnando o guadagna legiferando”.

Possibilmente alla svelta, perché 50 elettori su 100 che disertano le urne in Friuli e 48 in Molise, forse la pensano già come Rousseau e Bierce. E ciò non annuncia un futuro luminoso per la democrazia.

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