Conoscendo il pregiudicato Silvio Berlusconi, definito dai tribunali della Repubblica un “delinquente naturale”, è giusto pensare che prima di togliere il suo veto alla nascita di un governo abbia avuto da Matteo Salvini precise garanzie sulle materie per lui importanti: giustizia, telecomunicazioni e fisco. Per questo Luigi Di Maio, se non vuole finire per apparire agli occhi degli elettori come un politico disposto per il potere a qualsiasi compromesso, farà bene nei prossimi giorni a ripartire dai fondamentali. Come aveva promesso, ben prima di discutere di ministeri e premier, tra 5 stelle e Lega va steso un lungo contratto di governo, preciso fin nei minimi particolari. Dalla lettura di quel documento potremo tutti capire se l’eventuale nuovo esecutivo sarà un inciucio all’ombra di Berlusconi o davvero il tentativo di cambiare il Paese.
È ovvio che il contratto non potrà contenere tutte le proposte delle due formazioni politiche. Nel 2005 in Germania Angela Merkel quando si accordò per la prima volta con la Spd mise da parte la flat tax al 25 per cento che era stata il suo cavallo di battaglia elettorale. Ma vi sono punti che il Movimento deve considerare irrinunciabili a meno che non voglia diventare un partito come tutti gli altri. Il primo ruota intorno a una parola che sull’ex Cavaliere ha lo stesso effetto dell’aglio per i vampiri: la legalità. Vanno scritte precise norme anticorruzione, leggi che riportino alla certezza e l’effettività della pena e che velocizzino realmente i processi. Il secondo punto è la Rai: la tv pubblica va liberata dall’oppressione della politica e deve premiare i suoi dipendenti solo in base a criteri meritocratici. Non solo i giornalisti, ma anche i manager, a cominciare da quelli responsabili della raccolta pubblicitaria. Il terzo è il conflitto d’interessi: non per penalizzare Mediaset, ma per far sì che come accade in tutte le democrazie liberali, mezzi di comunicazioni così importanti, in grado di influenzare l’opinione pubblica e di intimorire amici e avversari, non possano far capo a chi sta in parlamento. Chi si trova in queste condizioni deve semplicemente scegliere: o fa l’editore o fa il rappresentante dei cittadini.
Resta poi il fisco: è del tutto ovvio che le tasse vadano abbassate per far correre il Paese. Ma deve essere chiaro che, quando e se, la pressione fiscale ritornerà a livelli più umani, non dovrà esservi nessuna indulgenza nei confronti di chi dolosamente evade. Il contratto poi dovrà essere preciso fin nelle virgole nell’elencare gli indispensabili tagli di spesa, le norme in favore di disoccupati e poveri e quelle per migliorare vita e qualità dei nostri insegnati. Perché l’Italia se non riparte dalle scuole non avrà futuro. Ma almeno su questo, ne siamo ragionevolmente certi, non vi saranno problemi a trovare un accordo. In ogni caso solo dopo aver steso il contratto si dovrà cominciare a parlare di incarichi. Stabilendo un principio: i requisiti di onorabilità. Solo chi è specchiato è degno di far parte di un governo: perché l’esempio viene sempre dall’alto e l’Italia ha bisogno come il pane di esempi positivi.
Detto questo, se nascerà davvero un governo, ilfattoquotidiano.it si sente in dovere di promettere che svolgerà il suo lavoro di sempre. Io e i miei colleghi eserciteremo la nostra funzione di controllo senza fare sconti a nessuno. Riporteremo tutte le notizie che saremo in grado di trovare. E seguiremo sempre la nostra unica linea editoriale: la Costituzione della Repubblica. Quella che all’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.