Mafie

Mafia, lettera dei vescovi siciliani 25 anni dopo l’anatema di Papa Giovanni Paolo II: “Problema che tocca anche la Chiesa”

La conferenza episcopale siciliana ricordano che quando Papa Wojtyla chiese loro di convertirsi dalla Valle dei Templi di Agrigento i mafiosi risposero con gli attentati del luglio 1993, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro. Poi, il 15 settembre 1993, i boss uccisero padre Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, a Palermo, che ora è beato

Una lettera diffusa a venticinque anni dall’appello di Giovanni Paolo II per ribadire che “la mafia continua a esistere e a ordire le sue trame mortali“. Gli autori? I vescovi siciliani della Conferenza episcopale italiana, che in questo modo hanno voluto ricordare l’anatema contro Cosa nostra di Papa Wojtyla dalla Valle dei Templi di Agrigento. I vescovi ribadiscono che “la mafia è peccato”, “la mafia è incompatibile con il Vangelo” e ricordano che quando Giovanni Paolo II chiese loro di convertirsi i boss risposero con gli attentati del luglio 1993, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro. Poi, il 15 settembre 1993, i boss uccisero padre Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, a Palermo, che ora è beato.

La Conferenza episcopale siciliana sottolinea che “la mafia è un problema che tocca la Chiesa, la sua consistenza storica e la sua presenza sociale in determinati territori e ambienti, il vissuto dei suoi membri, di quelli che resistono all’invadenza mafiosa e di quelli che invece se ne lasciano dominare”. E se negli anni la comunità ecclesiale ha preso le distanze dal “silenzio” che prima circondava il fenomeno mafioso, oggi “rischiamo di passare dal silenzio alle sole parole” – avvertono – magari ripetendo ciò che già dicono altri : “Privo di un suo timbro peculiare, il discorso ecclesiale riguardante le mafie rischia così di essere più descrittivo che profetico”.

Sui media “le condanne pubbliche e le scomuniche”, osservano, “hanno eco brevissima” ma ciò che li preoccupa davvero è “che il nostro discorso” non giunga a “interpellare” e a “scuotere davvero i mafiosi, da parte loro non certo interessati a leggere i documenti ecclesiali” e non si riesce a “far crescere generazioni nuove di credenti”. Perciò invitano a proporre “una catechesi interattiva, il più possibile pratica e contestuale” e a sfruttare “ogni buona occasione: nel catechismo agli adolescenti, in cui anche i figli dei mafiosi devono essere coinvolti”, nei “momenti formativi dedicati ai giovani e agli adulti”; nella celebrazione del “battesimo, la prima comunione e la cresima; nelle omelie durante i funerali delle vittime di mafia, ma anche – dove e quando sia fattibile – durante le esequie di persone defunte che sono appartenute alla mafia”.