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Argentina, ancora crisi? Ai cittadini sorge un dubbio. E anche a me

Diciassette anni dopo quel dicembre del 2001 (quando le banche argentine chiudevano, il presidente Fernando de la Rua scappava in elicottero e la gente scendeva disperata in piazza), il rumore di pentole e coperchi sbattuti l’uno sull’altro risuona di nuovo forte per le strade di Buenos Aires e nelle vie di molte città argentine. È il “cacerolazos”, il metodo che gli argentini hanno per esprimere la loro protesta per una vita che è diventata difficilissima: tariffe del gas e della luce aumentate del 300%, molti licenziamenti nel settore pubblico, pensioni abbassate, assistenza sanitaria diminuita, prezzi alle stelle per i generi alimentari.

Due anni di governo Mauricio Macri hanno gettato nuovamente il Paese sull’orlo di un crisi economica. Evidentemente le decisioni prese la scorsa settimana – tassi di interesse al 40% per chi investiva in pesos, l’obbligo per le banche di disfarsi delle riserve di dollari  non sono riuscite a invertire la speculazione contro il peso. La quotazione delle imprese argentine a Wall Street e nella borsa locale è caduta ancora più della moneta.

Il contesto fa capire meglio cosa succede. Il prossimo martedì scadono Lebacs (titoli di Stato) per un equivalente di 600mila milioni di pesos e la possibilità che vengano rinnovati è molto improbabile, il rischio è quello di vedere il dollaro arrivare a 30 pesos. La deregulation del sistema finanziario ha favorito ancora di più i meccanismi speculativi (ricordate la bicicletta finanziaria di cui abbiamo parlato in un altro post?!) e non ha attratto alcun investimento produttivo internazionale.

Il presidente e i suoi ministri sostengono che la crisi economica ha accelerato il passo a causa delle condizioni internazionali, per l’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e l’aumento del prezzo del petrolio. Quello che Macri e i suoi non spiegano è perché le speculazioni si concentrano soprattutto in Argentina e non in altri Paesi. Negli ultimi mesi fra l’altro c’ è stata una fuga di capitali pari a 8mila milioni di dollari. “Due anni di governo macrista – dice l’economista Gabriel Solano – hanno significato un deficit fiscale che supera il 7 % del Pil, un deficit commerciale record che si attesta intorno ai 18mila milioni di dollari annuali”.

Il ministro dell’Economia Nicolas Dujovne ieri notte si è precipitato negli Stati Uniti per chiedere al Fmi di intervenire con un prestito “preventivo” (questo l’eufemismo usato) che possa stabilizzare il mercato. Si stima che la cifra sia intorno ai 30mila milioni di dollari. Gli argentini si chiedono: “Cosa chiederà in cambio questa volta l’organismo presieduto dall’elegante signora Christine Lagarde?” Le recenti esperienze di Grecia e Spagna ci offrono due esempi delle ricette che adotta il Fmi per i Paesi in difficoltà: aumento dei tassi di interesse, diminuzione delle pensioni, aumento dell’età pensionabile, riforma capestro del lavoro; quest’ultima possibilità già a dicembre del 2017 provocò massive mobilizzazioni di protesta e una terribile repressione da parte del Governo.

La decisione di ricorrere di nuovo al Fmi, è stata presa da una ristretta cerchia dei ministri più vicini a Macri, il direttore del Banco Central Federico Sturzenneger è stato informato a decisione già presa. Il 9 maggio fra l’altro la Camera dei deputati ha approvato la Legge del mercato dei Capitali che secondo alcuni partiti di opposizione, darà grandi benefici agli speculatori internazionali e nessuno alle piccole e medie imprese. La creazione di nuovi strumenti finanziari (come la cedola ipotecaria e la fattura elettronica, tra gli altri) creeranno dei derivati finanziari – dicono alcuni oppositori di Macri -, così come è accaduto negli Stati Uniti nel 2007 provocando la grave crisi economica .

È difficile credere come l’Argentina, così ricca di materie prime, sia ciclicamente in crisi economica. Ex amministratori delegati di grandi gruppi internazionali, siedono da due anni sulle poltrone più importanti della Casa Rosada. Agli argentini sorge il dubbio (legittimo) che quegli stessi ex amministratori delegati siano ancora i portatori di interessi legati alle grandi aziende. Josè Aranguren, ministro dell’Energia, è stato un alto funzionario della Shell. Le bollette di gas e luce sono aumentate del 300%. L’estrazione del gas sul proprio territorio costa allo stato argentino, tre volte di più di quello che pagano gli Usa.

Istantanea dell’attuale governo argentino: il ministro del Lavoro Jorge Triaca ha un’impiegata domestica in nero, il ministro delle Finanze Luis Caputo società offshore, il ministro dell’Economia conti in nero, la ministra della Sicurezza Patricia Bullrich appoggia la repressione armata e indiscriminata da parte della polizia sia per i reati comuni che per la protesta politica. Insomma, per il presidente Macri “la miglior squadra di governo degli ultimi 50 anni”.