Festival di Cannes 2018

Festival di Cannes, Christopher Nolan: “Io, Stanley Kubrick e il miracolo tra pellicola e digitale”

Anche tre ore di coda per sentire il regista inglese - 48 anni e nove film, cinque nomination ma nessun Oscar - per la prima volta a Cannes per il restauro in 70 mm di '2001: Odissea nello Spazio' raccontare il suo lavoro. Pochi effetti speciali, preferenza per la pellicola senza demonizzare il digitale. E quell'agognato 007 che lo riduce al silenzio

di Anna Maria Pasetti

Christopher Nolan sta con la pellicola. Ma non sposa la guerra “anacronistica” fra questa e il digitale, “devono coesistere, si completano, e insieme fanno la perfezione del cinema”. Semmai la sfida di chi fa il cinema è combattere affinché tale matrimonio abbia parità di diritti. Il cineasta londinese è al Festival di Cannes a presentare ufficialmente la proiezione di 2001 Odissea nello Spazio restaurato in 70mm (in programma domenica 13 maggio nel tardo pomeriggio) e l’occasione della sua presenza ha permesso a Thierry Fremaux di invitarlo a tenere una masterclass con il pubblico. Evento che è stato a dir poco “aggredito” da aspiranti partecipanti con file di oltre tre ore fuori dalla sala ove si sarebbe tenuto, e spintonate con effetti non piacevoli. Il personaggio certamente valeva l’attesa, benché trattenuto nella compostezza britannica dando agio solo a qualche battuta di spirito. Per lui, nato nel giugno del 1970, Stanley Kubrick è sempre stata una figura di riferimento, forse maggiormente rispetto ad altri suoi coetanei. Dunque essere a Cannes ad introdurre 2001 è motivo di “gioia e onore, perché posso contribuire a portare alle nuove generazioni l’esperienza sublime che io stesso ho vissuto la prima volta che vidi questo capolavoro assoluto”. E la sua prima volta risale a quando il regista aveva 7 anni, “mi ci portò mio padre in uno dei cinema di Leicester Square e fu un’epifania totale, estrema, indimenticabile anche se ero molto piccolo”.

“Avrei poi capito nel tempo – continua il filmmaker – che quanto fece Kubrick nel 1968 avrebbe cambiato per sempre non solo il modo di fare il cinema di fantascienza ma di ‘pensare’ un certo approccio a questa arte”. Nolan ha contribuito personalmente al restauro di 2001 portandolo in 70mm con la “cura di non perdere nulla della perfezione originale”. Il metodo usato è stato il medesimo ad altissima tecnologia che ha guidato la resa del suo Dunkirk, anch’esso girato su pellicola da 70mm e proiettato al suo meglio in IMAX 70mm. “La digitalizzazione è fondamentale per il cinema, per la sua preservazione, restauro e conservazione ma ritengo come Tarantino e PT Anderson che la pellicola con la sua immensa gamma cromatica restituisca un’emozione che il digitale non offre: è incredibile la capacità di immersione che la pellicola ancora dona allo spettatore, non avrei mai potuto pensare a Dunkirk girato in digitale!”.

Lungi dall’essere tradizionalista nonostante questo amore folle per il nitrato d’argento, Nolan è uno sperimentatore puro, e un nativo indie, per dirla in gergo. Specie nel lavoro che ha provato di saper fare nel suo cinema rispetto alla gestione del tempo. Il montaggio è il suo grande alleato, ma questo parte dal primo livello, cioè quello di scrittura, e naturalmente passa nel secondo che equivale alle riprese, almeno secondo la classificazione di Truffaut. “Mi sono accorto che alla fine i miei film rispondono all’idea originaria e questo mi conforta, significa c’è un approccio convinto e solido”. Un’affermazione questa che lascia intendere quanto per il regista inglese la prima regola sia di non smettere mai di imparare, lui che è un autodidatta non avendo mai fatto “alcuna scuola di cinema, non mi hanno preso, ho studiato letteratura inglese all’università e nel frattempo iniziavo a girare i miei primi super8 e 16mm”.

D’altra parte un seguace di Kubrick non poteva che seguire il suo insegnamento “Se vuoi imparare a fare il cinema inizia a farlo” diceva il genio americano naturalizzato britannico. E come Stanley anche Christopher è un “control freak” nel senso che non ama utilizzare seconde unità (“giro tutto io anche le cose apparentemente meno importanti perché alla fine sono quelle che faranno la differenza..”) e limita al minimo l’uso degli effetti speciali, avvalendosi di veri set (“così gli attori hanno reazioni realistiche”) e “grandiosi scenografi dell’era analogica che alla fine ci fanno anche risparmiare”! Amante dei generi, predilige il noir come base drammaturgica, “perché è il genere che ti permette di definire i tuoi personaggi sulla base delle loro azioni e non delle loro parole”. Il suo primo film, l’interessantissimo Following girato in b&w con macchina in spalla e solo nei weekend (“durante i giorni feriali dovevo lavorare”), è di fatto un noir, e su quella base “nera e tormentata” Nolan ha proseguito il suo percorso scrivendo col fratello Jonathan (“abbiamo metodi diversi ma adoriamo lavorare insieme, e con mia moglie Emma (Thomas, ndr) a produrre è tutto molto famigliare..”) su film sempre più grandi fino alla trilogia di Batman, The Prestige, Inception, Interstellar per finire col sublime Dunkirk. E chissà che presto non arriverà l’agognato 007, ma su questo ha preferito non commentare.

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