La notte tra il 9 e il 10 settembre 2017 a Livorno cadono 260 millimetri di pioggia, di cui 230 in tre ore. L’alluvione si abbatte prevalentemente sulla zona sud della città. I principali corsi d’acqua che attraversano Livorno esondano, portando a valle di tutto: fango, detriti, tronchi, automobili. Otto persone perdono la vita travolte dall’onda di piena del rio Ardenza e del rio Maggiore. Gli abitanti delle aree a pericolosità elevata e molto elevata lungo il rio Ardenza sono in totale 543 mentre lungo il rio Maggiore sono 3936. “L’assetto attuale di Livorno, ma di tutte le città italiane – spiega la geologa Giovanna Cascone – è quello che deriva da un’urbanizzazione che non ha tenuto conto del ruolo del suolo e del bacino idrografico”. E anche per quanto riguarda le opere di mitigazione del rischio alluvionale, come ad esempio le casse di espansione: “Vista la mancanza di risorse dei Comuni – continua Cascone – le opere di mitigazione poi vengono fatte quando c’è la possibilità di far intervenire anche qualche altro soggetto e quindi in realtà di occupare un’area ad alta pericolosità con nuove urbanizzazioni. E questo non è sano”. È il caso delle casse di espansione per la messa in sicurezza del rio Maggiore, costruite dalle precedenti amministrazioni comunali e collaudate, dopo diverse modifiche ai progetti, nel 2014. Le opere infatti furono realizzate grazie ai privati coinvolti nella lottizzazione del “Nuovo Centro“, area in cui sono sorti complessi residenziali e centri commerciali. “Dobbiamo pensare a un’area tra le colline e la città che fino al 2008 è stata aperta campagna ” spiega Simona Corradini, architetto e parte del gruppo di esperti delle Brigate di solidarietà attiva livornesi che, oltre a portare aiuto alla popolazione, hanno realizzato un dossier sull’alluvione. “Anche le direttive alluvioni – continua Corradini – ci dicono non solo di costruire opere idrauliche lungo i fiumi ma anche di cercare di far riacquisire ai fiumi aree libere. Gran parte dell’area del “Nuovo Centro” ormai è impermeabilizzata”. “Nel tempo, da monte a valle, il fiume è stato tendenzialmente seviziato – spiega la geologa Cascone – in particolare quando arrivava in pianura doveva quasi essere nascosto per consentire l’urbanizzazione, non comprendendo che il fiume è comunque vita ed ha bisogno dei propri spazi. Siamo sempre andati a occupare le zone in cui il fiume si sarebbe naturalmente espanso, dove avrebbe alluvionato senza fare danni a cose o persone”.