PAGINE NERE - In "Omissis 01", l'ultimo libro di Fabrizio Capecelatro, la storia vera di un torto irreparabile, di uno Stato che non riesce a fare giustizia e di una famiglia "normale" che impugna le armi e si fa clan contro i Casalesi. Con qualche lezione da tenere in mente sul ruolo dei pentiti
Recenti episodi di cronaca ci ricordano che le mafie usano la violenza sempre, anche quando si “inabissano” o stanno fuori dalle aree “tradizionali”. Caso mai la dosano a seconda del momento, delle convenienze e del temperamento dei picciotti in campo. L’autobomba che a Limbadi ha ucciso Matteo Vinci, ignorata dalla politica e archiviata dai media alla velocità della luce nonostante la denuncia pubblica e circostanziata della madre, Rosaria Scarpulla, contro il potente clan di ‘ndrangheta dei Mancuso. Il pestaggio nel bar della Romanina a opera di due membri della famiglia Casamonica, a cui la Procura di Roma ora contesta l’aggravante mafiosa.
Nel suo nuovo libro, il giornalista Fabrizio Capecelatro ci porta dentro una storia vera che richiama quegli episodi, ma con una particolarità: i familiari della vittima si fanno a loro volta mafia perché lo Stato non è in grado di riparare il torto che hanno subito. Un torto gravissimo: l’assassinio a sangue freddo di un figlio di vent’anni. Omissis 01 – La vera storia di Rosa Amato. Camorrista per vendetta, pentita per amore (Tralerighe, 145 pp. 13 euro) è basato sul diario della sorella del giovane ucciso, poi diventata collaboratrice di giustizia e oggi protagonista di una nuova vita in una località segreta.
Il 19 marzo 1999 Carlo Amato, 21 anni, è ucciso a coltellate in una discoteca di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Il poliziotto fuori servizio che fa da buttafuori (anche se gli è vietato dalla legge) pulisce subito il sangue, cancellando ogni traccia, e nessuno dei presenti osa testimoniare durante le indagini. Neppure la ragazza che, a quanto ricostruiranno i familiari, Carlo aveva difeso dalle solite “pesanti attenzioni” di altri giovani clienti, tipica molla delle risse in discoteca.
Risultato, nessun processo e nessuna giustizia: l’omicidio è a tutt’oggi impunito. I suoi familiari sanno però che alla festa erano presenti due rampolli del clan Schiavone di Casal di Principe, le cui gesta sarebbero state immortalate anni dopo da Roberto Saviano in Gomorra. E si convincono che il muro di omertà sia montato a loro protezione. “Il silenzio che ha ucciso più dei Casalesi” è il mantra di Rosa Amato nelle pagine del libro.
Così il padre, fino a quel giorno titolare di una pescheria ben avviata, decide di farla pagare a Schiavone e ai suoi per un’altra strada: grazie a un parente già nel “settore”, fonda un proprio clan con il preciso obiettivo di arginare l’espansione dei casalesi a Santa Maria Capua Vetere. Si circonda di ragazzi armati e si butta nell’allora pionieristico settore dei videopoker, imposti agli esercenti e truccati per frodare le casse dello Stato. Quando il business arriva a fruttare 40mila euro al mese, ammette Rosa Amato, i propositi di vendetta vengono sopraffatti dall’ebbrezza della “bella vita”.
Il resto è tutto da leggere, maè interessante sottolineare il percorso del “pentimento” della donna. Perché ci ricorda che in genere si diventa collaboratori di giustizia per motivi semplici e umani, non necessariamente legati a un eventuale ravvedimento interiore. Perché il clan ha finito i soldi e non può più garantire lo stipendio alla famiglia del detenuto. Perché ci sono figli piccoli fuori, che non si vedranno crescere (è il caso di Rosa). Perché a vent’anni la prospettiva di passarne una dozzina al 41 bis è dura da mandare giù. E’ soprattutto la catena di collaborazioni con i pm Luigi Landolfi e Raffaello Falcone a cancellare il neonato clan Amato dalla geografia criminale del casertano. Eppure, nota in un contributo al libro l’avvocata Rosaria Gentile, legale di Rosa Amato, “ciò che sta accadendo negli ultimi anni nella gestione dei collaboratori di giustizia” è “espressione di un evidente, diffuso e inaccettabile giudizio etico di disvalore”. Come dire: lo Stato che non è riuscito a punire gli assassini di un ventenne ammazzato in una discoteca affollata storce il naso di fronte a chi potrebbe aiutare a scovarli (o a scovarne altri).
LA FRASE – Io avevo sbagliato e dovevo pagare, è vero. Ma chi aveva ucciso mio fratello dov’era? Come si chiamava? Io stavo in carcere e pagavo perché nessuno aveva fatto il suo nome.
Fabrizio Capecelatro presenterà Omissis 01, fra le altre date: giovedì 17 maggio alla Mondadori di Napoli con il Procuratore capo Giovanni Melillo; martedì 5 giugno alla Feltrinelli di Caserta con in Procuratore Aggiunto di Santa Maria Capua Vetere Antonio D’Amato.