Se l’alleanza tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini si fosse verificata nel 2013 avrebbe causato un terremoto in tutta Europa: è quello che si mormora nelle più grosse piazze affari. Oggi, invece, tutto sembra tranquillo. Il motivo? Dal 2013 il contesto finanziario ed economico in cui l’Italia si muove all’interno dell’Europa unita è mutato e nessuno ha ben capito se le promesse e le riforme annunciate nella campagna elettorale dai due leader fanno parte del moderno lessico populista per ottenere più voti o se si riferiscono a proposte concrete che i due partiti vogliono realizzare.

Nell’incertezza, i mercati si sono autoconvinti che il nuovo governo non onorerà le promesse fatte. Iniziamo dalle mutate condizioni economiche. Dal 2013, approfittando della diminuzione dei tassi d’interesse, il governo italiano ha ristrutturato il debito, che è ancora a livelli decisamente troppo alti (130 per cento del Pil). Ma allungandone la maturità ha fatto si che eventuali futuri shock prodotti dalla sfiducia degli investitori stranieri nei confronti della performance italiana saranno meglio assorbiti meglio che nel 2013.

Circa il 15 per cento del debito italiano è nelle mani della Banca centrale europea, che non lo venderà se gli spread ritornano ai livelli del 2013, anzi con molta probabilità sarà disposta ad acquistarne altro. La percentuale di debito nelle mani degli investitori stranieri è dunque scesa rispetto al 2013, ciò rende un’eventuale crisi del debito più gestibile. I problemi strutturali, comunque, sussistono. L’economica italiana è il fanalino di coda dell’eurozona e nel 2018 si è già registrato un rallentamento. Ironicamente, è stata la mancata ripresa a far sì che dal 2013 una grossa fetta dell’elettorato si spostasse verso i due partiti populisti, che hanno prospettato cambiamenti radicali a livello politico ed economico.

Le famose promesse populistiche, se davvero venissero messe in essere avrebbero un impatto ben peggiore della sfiducia nei confronti debito italiano sulla stabilità dell’Eurozona. Vale la pena menzionarle. Sebbene sia Salvini che Di Maio continuano a lanciare messaggi vaghi e contradditori nei confronti dell’euro, nessuno dei due è a favore della moneta comune europea.

A Marzo, Salvini l’ha definita un errore e Beppe Grillo una settimana fa ha ribadito la necessità di un referendum sull’euro. Di Maio sostiene che questa opzione verrà presa solo in extremis, ma non si capisce bene cosa intende per extremis, un’altra crisi come quella del 2011? O le bacchettate di Bruxelles riguardo all’austerità fiscale? Oppure un impasse in parlamento tra i due partiti al governo?

In materia di politica fiscale, il Movimento 5 stelle e la Lega hanno promesso di sfidare le regole dell’Unione europea perché’ questa, secondo loro, ha danneggiato l’Italia. Per Salvini e Di Maio la politica vincente è quella dell’espansione fiscale, e cioè ulteriori spese e tagli fiscali. Senza queste politiche non ci sarà ripresa né tantomeno crescita. Una delle prime mosse che il nuovo governo dovrebbe fare è l’abolizione delle riforme pensionistiche del 2011, che hanno innalzato l’età pensionabile e così facendo hanno rassicurato gli investitori sulla disciplina fiscale italiana.

In linea con la promessa di politiche espansionistiche, il Movimento 5 stelle chiede l’introduzione del reddito di cittadinanza e la Lega una tassa sul reddito, la cosiddetta flat tax. Si tratta di proposte che farebbero gravitare il deficit se non vengono compensate da tagli di bilancio altrove. E qui ci imbattiamo in un altro problema, come conciliare le promesse dei due partiti con la politica fiscale ed austerità imposta da Bruxelles?

Altro punto spinoso le nazionalizzazioni delle banche in difficoltà che secondo Salvini e Di Maio è una strategia migliore della ricapitalizzazione secondo le regole di Bruxelles, a ciò va aggiunta l’opposizione dei due partiti agli accordi di libero scambio siglati dall’Unione. Al contrario, entrambi sono a favore di politiche protezioniste e di sostegno per gli agricoltori italiani.

Anche in tema di immigrazione e politica estera ci sono molti attriti, Salvini e Di Maio vorrebbero una revisione degli accordi stipulati con Bruxelles e non fanno mistero di guardare a Mosca con interesse. Entrambi sono a favore della rimozione delle sanzioni contro la Russia. Di temi dove scontrarsi con Bruxelles ce ne sono molti, forse troppi. Anche se il nuovo governo cercherà di smussare gli angoli, rimane il fatto che gli italiani hanno eletto questi due partiti su una piattaforma di cambiamento che coinvolge in prima persona i rapporti con l’Unione europea.  I prossimi mesi promettono di essere molto interessanti.

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