di Giulio Scarantino
Dov’è finito il Movimento 5 stelle che sfidava gli altri partiti proponendo Stefano Rodotà in Parlamento per l’elezione del presidente della Repubblica? Dove sono finiti quei nomi come la Milena Gabanelli , Nino Di Matteo o Gino Strada ? Persone chiamate in causa durante il periodo di opposizione del Movimento, ma che facevano ben sperare in ottica futura. Speranza che si è sciolta – per ossimoro – con la bozza del contratto che, se firmato, vincolerà il M5S al patto con la Lega di Matteo Salvini e l’astensione benevola di B..
La trasformazione da partito intransigente e indipendente a partito di governo, per il quale tutto è giustificabile pur di arrivare a Palazzo Chigi: anche digerire il boccone amaro di Maria Elisabetta Alberti Casellati come seconda carica dello Stato. A dimostrazione che solo all’opposizione si può sognare.
Nello scambio dei ruoli, da governo ad opposizione, anche il Pd sembra aver cambiato pelle: da partito responsabile quale era, al punto da mettere in discussione (si veda l’alleanza con Alfano e Verdini, il patto del Nazareno etc.) l’asserita dicotomia tra centrodestra e centrosinistra, a stacanovista della coerenza. Il rifiuto ai Cinque stelle sembra essere il primo atto inflessibile. Peccato che arrivi proprio adesso, agevolando così l’intesa tra Luigi Di Maio e Salvini: i fautori del populismo più volte definito pericoloso per il Paese.
Tanto flessibili quanto inamovibili, invece, le dinamiche interne ai due partiti. Da un lato, infatti, la piena fiducia dei suoi (quasi invisibili) per Luigi Di Maio e dall’altro la supremazia di Renzi che, sebbene abbia perso tutto il possibile, detta ancora la linea del Pd. In questo i due leader sembrano aver trovato la chiave giusta: nessun dissenso trapela tra gli eletti a Cinque stelle per l’operato di questi giorni (niente più interviste fuori luogo o espulsioni) e scomparsi anche i 101 che in poco tempo abbandonarono sul selciato l’allora segretario del Pd , Pierluigi Bersani (reo di aver portato il Pd al 25%, con Matteo Renzi al 18%).
Eppure segnali esterni sembravano essere arrivati: ad esempio la collaborazione tra M5S e Nicola Zingaretti del Pd (unico superstite al naufragio del Pd, confermato presidente della Regione Lazio il 4 Marzo.) ma anche dall’operato del sindaco Chiara Appendino di Torino, della sue decisione storica sui diritti civili per i bambini nati da coppie omosessuali . Segnali verso un elettorato progressista, che senza dubbio forma parte del corpo elettorale di entrambe le forze politiche, spazzati via dall’atteggiamento dei due leader: da un lato il gioco di sponda di Luigi Di Maio, dall’altro l’aventino di Renzi e dei suoi . Uomini sbagliati al momento giusto? Questo solo il tempo potrà dirlo. Se è vero che non può giudicarsi un film prima di vederlo, o un libro dalla copertina, i presupposti fanno pensare che quando tutto sarà concluso e il paese ritornerà nelle mani dei conservatori, lascerà spazio al rammarico per l’occasione persa.
I motivi di questi presupposti sono stati già districati da diversi opinionisti: dal ruolo incerto di B. al conservativismo della Lega (ricordo Salvini concludere con il rosario in mano la campagna elettorale). Inutile quindi stare qui a ripeterli.
In questo balletto di ruoli, chi invece è inamovibile nella sua posizione è il leader di Fi: manovratore silenzioso durante la scorsa legislatura, continua a essere il burattinaio degli eventi. Con l’ultima trovata dell’astensione benevola, concede la sua resa. A breve vedremo le condizioni.
Ieri però il tribunale di sorveglianza di Milano ha riabilitato Berlusconi, che potrà quindi candidarsi: soltanto il suo narcisismo potrà superare la strategia. In un attimo, da manovratore silenzioso, salire sul predellino e tornare con buona pace di tutti l’unico nemico.
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