Festeggiamenti, diplomazie e proteste. Una cappa di tensione tra appuntamenti incendiari è calata a Gerusalemme e nei Territori palestinesi, in vista dell’inaugurazione della nuova ambasciata degli Stati Uniti nella città contesa e di una settimana di proteste palestinesi potenzialmente esplosiva. Nella Città Santa oggi migliaia di israeliani e sostenitori dello Stato ebraico provenienti dall’estero marceranno all’insegna di bandiere con la stella di David, andando fino al muro del pianto nella Città vecchia. Solo il primo atto di una settimana fitta di appuntamenti potenzialmente incendiari e carichi di significati simbolici, in occasione dell’anniversario della conquista di Gerusalemme Est da parte dell’esercito israeliano nel 1967: quella che gli israeliani chiamano la “riunificazione” della città.
Sono 4 i Paesi dell’Unione europea, su 28, che presenzieranno alla cerimonia di lunedì che sancisce il passaggio dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv, dove è stata finora, a Gerusalemme, dopo la decisione presa dal presidente Donald Trump. All’inaugurazione della nuova sede ci saranno i rappresentanti diplomatici di Austria, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri israeliano. La linea della maggior parte dei Paesi Ue è quella che riconosce Gerusalemme capitale di due Stati, e quindi di opposizione alla scelta di Trump di riconoscere la città capitale solo di Israele.
Martedì i palestinesi commemorano la nakba, la catastrofe che la proclamazione dello Stato israeliano ha rappresentato per loro, con il relativo esodo dalle terre un tempo possedute. Israele si prepara ai festeggiamenti sotto il segno dell’alleanza con gli Usa, dopo una settimana caratterizzata dall’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare con l’acerrimo nemico Iran, da un’operazione senza precedenti contro obiettivi iraniani in Siria, dalla vittoria di Netta Barzilai a Eurovision. Ma i palestinesi potrebbero mobilitarsi massicciamente nelle proteste in programma nella Striscia di Gaza, che rischiano di finire in un bagno di sangue.
Le forze israeliane sono in stato di allerta alta. L’esercito ha annunciato che raddoppierà i soldati dispiegati attorno alla Striscia di Gaza, controllata da Hamas e sotto blocco israeliano da oltre 10 anni. La Cisgiordania, distante poche decine di chilometri, è occupata dall’esercito di Israele da oltre 50 anni. L’enclave costiera dal 30 marzo è scenario della Marcia del grande ritorno dei palestinesi, in cui migliaia di persone si sono radunate in varie giornate lungo il confine con Israele, segnato dalla barriera di separazione. Rivendicano così il diritto a tornare nelle terre da cui furono cacciati o da cui dovettero fuggire nel 1948, e si oppongono al blocco. Da domani si entrerà nella fase più calda delle proteste, in parallelo all’inaugurazione dell’ambasciata americana a poche decine di chilometri di distanza. Il timore delle forze di Israele è che i manifestanti tentino di sfondare la barriera di separazione. Oggi il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è andato al Cairo per colloqui, secondo alcune voci perché l’Egitto starebbe tentando di mediare per calmare la situazione. Dal 30 marzo, i palestinesi uccisi dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza sono stati 54, mentre tra gli israeliani non ci sono state vittime o feriti. Ma l’esercito israeliano è pronto anche a violenze a Gerusalemme e in Cisgiordania.
La tensione è salita di nuovo nella regione il 6 dicembre scorso, quando il presidente americano Donald Trump ha annunciato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele e il trasferimento dell’ambasciata. Israele ha visto in questa rottura con decenni di diplomazia americana e con il consenso internazionale la presa d’atto di quella che considera una realtà storica: “Gerusalemme è citata 650 volte nella Bibbia, per una semplice ragione: da 3mila anni, è la capitale del nostro popolo e solamente del nostro popolo”, ha detto il premier, Benjamin Netanyahu. I palestinesi vedono invece nella decisione di Trump la negazione delle loro rivendicazioni sulla città contesa e l’apice della posizione presa dalla Casa Bianca, sempre più pro-Israele. Vorrebbero infatti fare di Gerusalemme Est la capitale dello Stato cui aspirano. Hanno quindi sospeso le relazioni con le autorità americane, rifiutando di considerarle come mediatori. L’ambasciata americana, provvisoriamente ospitata dai locali dove si trovava il consolato americano in attesa della costruzione di una nuova sede, si aprirà senza Trump. Ci saranno invece la figlia e consigliera Ivanka, il marito e consigliere Jared Kushner, il vice segretario di Stato John Sullivan e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin. Trump interverrà tuttavia in video collegamento davanti agli 800 invitati.