Al netto delle polemiche, del crollo finale di uno splendido Napoli e del primo, perfettibile anno del Var, l'ennesimo trionfo bianconero merita una riflessione, specie alla luce delle difficoltà evidenziate al termine della stagione: per continuare la striscia di vittorie servono importanti cambiamenti, sia nella rosa (che va svecchiata e migliorata) sia per quanto riguarda la guida tecnica. In tal senso, l'era allegra sembra essere arrivata al capolinea
Adesso c’è anche la matematica. Ma questo campionato la Juventus lo aveva di fatto già conquistato la settimana scorsa, anzi, quella precedente con il tonfo clamoroso del Napoli a Firenze, o forse ancora prima come sostengono i suoi detrattori, durante il big match di San Siro contro l’Inter condizionato dalle scelte di Orsato. Il risultato non cambia. Ha vinto ancora la più forte, ovvero la Juve: il risultato all’Olimpico contro la Roma consegna ai bianconeri l’ennesimo scudetto, che si aggiunge alla quarta Coppa Italia appena alzata in settimana. Il settimo consecutivo, che passerà alla storia non tanto per il solito record, riscritto anno dopo anno (nessuno ne aveva mai vinti così tanti di fila, ma del resto lo si era già detto per il sesto, e magari lo si dirà per l’ottavo). Quanto per essere stato il più sofferto, anche il più polemico. Forse l’ultimo dell’era Allegri, che potrebbe essere giunta al termine.
È stato un campionato diverso rispetto agli altri. Vissuto per la prima volta su una rivalità vera e viva fino all’ultimo, per cui bisogna ringraziare il Napoli, sfidante (quasi) all’altezza di una Juventus che ha fatto persino più punti della stagione scorsa: i meriti degli azzurri superano comunque i demeriti di essere crollati sul più bello, proprio dopo la vittoria nello scontro diretto che sembrava poter davvero sancire la fine del dominio bianconero. Invece, complice l’incredibile sfida di San Siro, il successo di Torino è stato solo il classico canto del cigno: i ragazzi di Sarri avevano già superato i propri limiti arrivando fino a quel punto, proprio non potevano spingersi più in là, sia fisicamente che mentalmente. La frenata successiva, ma in fondo pure quella precedente che aveva scavato il primo solco con i bianconeri, lo dimostra chiaramente. Su questo sia Sarri che De Laurentiis dovrebbero riflettere, lo stanno già facendo a sentire le ultime dichiarazioni.
Mai come stavolta, però, la Juventus è stata vicina ad abdicare. Per la cavalcata degli azzurri, certo. Ma soprattutto perché qualcosa a un certo punto è sembrato incepparsi nella macchina perfetta dei campioni d’Italia. L’involuzione di Dybala, uscito giornata dopo giornata dal progetto tecnico, al punto da diventare quasi un peso nelle partite decisive. Qualche frizione nello spogliatoio con Allegri, culminata nelle lamentele di Marchisio e nell’epurazione di Benatia dopo la sconfitta contro il Napoli. Gli scricchioli della vecchia Bbc, con Buffon messo in discussione nell’anno del probabile addio, Barzagli apparso superato, lo stesso Chiellini spesso un po’ appannato. Per mesi la Juventus ha giocato male, soffrendo, non convincendo. E non era soltanto il cinismo della grande squadra abituata ad ottenere il massimo con il minimo sforzo, ma il segnale di qualche problema vero. Da gennaio in poi con la testa altrove, tutta rivolta al sogno proibito della Champions League, di nuovo spezzato dalla potenza del Real Madrid, stavolta con una batosta dall’inevitabile contraccolpo psicologico. È arrivata a fine stagione stravolta nel fisico, fiaccata anche nel morale. Ma nonostante ciò ha vinto ancora.
Per tutte queste ragioni, il settimo scudetto non è più un passaggio intermedio tra una vittoria e l’altra, come i precedenti. Ma quasi un punto e a capo nella storia dei trionfi bianconeri, che suggerisce una piccola rivoluzione. Magari a partire proprio dalla panchina: il ciclo di Allegri pare al capolinea. E anche in campo, dove forse saluterà Buffon, bisognerà sostituire prima o poi la vecchia retroguardia di mille battaglie e decidere che fare con Dybala. Da questo punto di vista, il settimo scudetto assomiglia un po’ all’ultimo di Conte, e allora la società fu bravissima a gestire il rinnovamento. Per altri versi, invece, per la rivalità e quanto successo nelle ultime giornate, il paragone più immediato è col primo titolo di questo lungo e ininterrotto ciclo, quello vinto nel 2012 in volata contro il Milan grazie al gol fantasma di Muntari.
Nemmeno allora la squadra sconfitta aveva chiuso con proteste furibonde come quelle del Napoli, in cui c’è tanto della proverbiale teatralità partenopea ma pure un pizzico di verità per alcune decisioni arbitrali controverse, in momenti cruciali. Ed è paradossale che ciò avvenga proprio nell’anno dell’introduzione del Var, che ad inizio stagione sembrava poter cambiare le cose in meglio (ed in parte lo ha anche fatto), salvo poi pagare alla lunga un po’ di confusione e di restaurazione della classe arbitrale. Nemmeno la moviola in campo è riuscita a scacciare le ombre dal settimo trionfo, anzi proprio la sua presenza forse le ha alimentate, dalla solita Inter-Juve in giù. De Laurentiis è stato durissimo: “Se ci sono stati rubati otto punti, io dichiaro che lo scudetto è del Napoli e ci è stato tolto”. Ma nessuno lo toglierà alla Juventus: alla fine negli annali restano solo le vittorie. Quelle bianconere, appunto.