Il racconto di uno degli operai scampati alla caduta della siviera nel reparto fonderia delle Acciaierie Venete: "Mentre fuggivo mi sono trovato davanti Todita che chiedeva aiuto e ha fatto in tempo a dirmi che sotto c'era l’altro collega". Il primario del centro Grandi ustionati di Padova: "Casi estremi, le percentuali di sopravvivenza sono quindi basse"
Come un “terremoto” che lo “ha alzato da terra”. Lo descrive così, Gianni Gallo, uno degli operai che sono sfuggiti al vapore incandescente che ha travolto due suoi colleghi e altrettanti dipendenti di una ditta in appalto dopo la caduta della siviera nel reparto fonderia delle Acciaierie Venete di Padova. “Mentre fuggivo – ricorda – mi sono trovato davanti Todita (Sergiu, il dipendente moldavo in fin di vita, ndr) che chiedeva aiuto, e ha fatto in tempo a dirmi che sotto c’era l’altro collega”.
“Non dimenticherò mai come li ho visti: sembravano ‘fusi’ – spiega Gallo, 47 anni, da 25 in azienda – il calore tremendo gli aveva lasciato addosso solo le scarpe e brandelli dei pantaloni“. Assieme a lui si sono salvati altri cinque lavoratori che si trovavano all’interno del capannone quando domenica mattina, poco prima delle 8, il cestello con 90 tonnellate di acciaio a 1600 gradi si è sganciato dal carroponte crollando sul pavimento e sversando schizzi di materiale fuso ovunque.
“Al momento dell’incidente – racconta – mi trovavo sul piano di colata, quasi all’altezza della siviera. Quando è caduta ci siamo sentiti mancare la terra sotto i piedi. Un fortissimo boato, e fuoco dappertutto”. L’operaio, che è anche delegato Fiom-Cgil, ricorda: “Sono subito scappato lungo la via di sicurezza – prosegue – e scendendo le scale mi sono trovato davanti Todita. Ho iniziato a trascinarlo per portarlo al sicuro. A quel punto è riuscito a dirmi che c’era un secondo operaio a terra, ‘c’è anche Bratu, aiutalo…’“.
Così, dopo averlo lasciato in infermeria, Gallo è tornato indietro, nonostante attorno bruciasse tutto: “Con un altro collega, non ricordo chi, abbiamo trovato anche Bratu. Prendendolo assieme sottobraccio lo abbiamo portato in infermeria. Nel frattempo, i medici del Suem, al telefono con l’azienda, avevano consigliato di metterli subito sotto le docce e l’abbiamo fatto. Urlavano dal dolore“. Da ventiquattr’ore, i dipendenti di Acciaierie Venete attendono notizie sulle condizioni dei loro colleghi, giudicate “critiche” dai medici dei centri dove sono ricoverati: “L’unica cosa che vorrei – dice – è rivedere i miei colleghi, bere un caffè con loro, non voglio altro”.