CANNES. Il cineasta - che ha ricevuto dallo stesso ufficio pontificio l’invito a girare questo documento realizzato in due anni per quattro interviste totali e libero accesso ad ogni archivio vaticano - scompare perché al centro non è “solo” e spesso il primo piano del papa (che si esprime in spagnolo) ma è la Storia contemporanea e quindi siamo noi tutti
C’è un dittico francescano alla 71ma edizione di Cannes: la fiaba immaginifica e folle Lazzaro felice di Alice Rohrwacher e il ben più “istituzionale” documentario di Wim Wenders dedicato all’attuale pontefice. E va subito chiarito che Papa Francesco – Un uomo di parola passato fra ieri sera e oggi sulla Croisette fuori concorso non è un biopic, bensì un’occasione per il cineasta tedesco di “viaggiare” con l’anima, l’intelligenza e soprattutto le parole di Bergoglio attraverso i grandi temi dell’attualità mondiale osservati da chi – per la prima volta nella storia di un pontificato – ha fatto “ufficialmente” sposare la dottrina francescana a quella gesuita. Volutamente, Wenders – che ha ricevuto dallo stesso ufficio pontificio l’invito a girare questo documento realizzato in due anni per quattro interviste totali e libero accesso ad ogni archivio vaticano – scompare perché al centro non è “solo” e spesso il primo piano del papa (che si esprime in spagnolo) ma è la Storia contemporanea e quindi siamo noi tutti. L’obiettivo è un faccia a faccia col pontefice con gli spettatori che insieme a lui si pongono di fronte alle questioni “ultime” del nostro tempo, ma ovviamente anche universale.
Punto di partenza e di arrivo è Assisi, capitale mondiale della pace e luogo d’incontro di ogni religione, e in tal senso diventa naturale il parallelismo fra il santo patrono d’Italia (visualizzato in filmati dalle atmosfere antiche ma in realtà realizzati all’occorrenza) e il primo papa a chiamarsi Francesco. Dovendolo descrivere sull’incrocio di assi cartesiani, il film di Wenders procede in orizzontale e in verticale: nel primo caso perché si espande nei territori (non solo geografici ma anche simbolici come Auschwitz e Ground Zero) di ogni dove toccati dal papa durante i suo viaggi pastorali, nel secondo perché rileva la capacità del tutto naturale di quest’uomo (“capace di mettere in pratica ciò che predica, conquistandosi così la fiducia di persone di tutto il mondo, di tutti i background religiosi, culturali e sociali”, sottolinea il cineasta tedesco) di incontrare chiunque, dal basso dell’ultimo degli ultimi fra gli abbandonati negli ospedali da campo africani all’alto delle figure più potenti della terra.
Emblematica, a tal proposito, la sua diplomazia nel discorso fatto al Congresso americano riferendosi agli Stati Uniti quale “la patria della libertà e del coraggio”, e ancora “la cittadinanza che comprende gli stranieri perché formata essenzialmente da immigrati”. Luoghi e persone ma anche problematiche, idee e religioni. Se dunque “tolleranza zero e rinvio a giudizio anche ai tribunali civili” per i preti pedofili, “integrazione totale” per la comunità LGBT commentando con una domanda biblica e certamente retorica: “Chi sono io per giudicare una persona che si professa gay?”. Il dialogo aperto con ogni religione (“mai al proselitismo”) e soprattutto con il problematico Islam perché “siamo tutti figli di Abramo e quindi siamo fratelli” per chiudersi con quella toccante mediazione fra Abbas e Peres per tentare un’ipotesi di pace concreta nel più doloroso ed infinito dei conflitti dell’era moderna. Un documentario dunque aperto come apertissima è la mente di Papa Francesco che ancora molto ha da offrire al mondo, cristiano e non. Incluso il suo inimitabile senso dell’umorismo. Il film uscirà anche in Italia distribuito da Universal.