Domani, la tappa del Giro d’Italia che da Assisi porta a Osimo passa da Filottrano. Avrete già capito che il passaggio dal paesino nelle Marche sarà un’occasione in più per ricordare Michele Scarponi, il campione scomparso il 22 aprile del 2017, investito mentre era in bicicletta. Conseguenza immediata del doveroso ricordo, sicuramente un appello alla sicurezza stradale. Questa sconosciuta!, potremmo dire, visto che non passa giorno senza notizie tragiche. E mi limito ai ciclisti morti sulle strade.
Gli appelli non mancano mai, sono sempre gli stessi, rivolti agli automobilisti più indisciplinati. Di contro c’è chi punta il dito sul ciclista che non rispetta le regole. Un cane che si morde la coda, insomma, che però uccide oltre 250 persone l’anno. Vittime spesso di distrazione e mancato rispetto delle regole: e noi le rispettiamo, sempre? Ecco questo mi frullava per la testa l’altro giorno, vedendo sul podio del Giro uno dei gemelli Scarponi con Elia Viviani. Pensavo a colui che lo ha investito, un artigiano, indagato per omicidio stradale, che è morto a febbraio divorato da un male incurabile e dal rimorso. Quanto è sottile il filo che trasforma un automobilista distratto in un “pirata della strada”?
Raramente si sente la voce di chi ha ucciso: la vergogna, il rimorso, l’impossibilità di ricevere il perdono o semplicemente il doversi difendere in tribunale che limita anche il più sensibile dei rei confessi perché impegnato nel salvarsi da una condanna. Sapere cosa è successo in quell’attimo fatale, vedere stampato nel volto e nel cuore un pentimento sarebbe efficace? Sarebbe giusto? Io proverei anche questo se anche solo una persona in più rispettasse il codice della strada alla lettera.
Il 15 aprile, sulle mie strade, un 70enne è stato travolto da un’auto e ha perso la vita su una strada larga, larghissima, mentre pedalava da solo. Com’è stato possibile travolgerlo su un rettilineo così ampio? Fa impressione pensare a casi del genere perché quelle strade le ho fatte spesso in bici anch’io e so quanto alcuni automobilisti “ti facciano il pelo” sfrecciandoti vicino senza rispettare la distanza di sicurezza. Questo signore, che si chiamava Biagio e che ogni tanto pedalava pure con mio padre, raccontava che, otto anni fa, a Lamezia Terme furono falciati in 8 sulla statale 18 da un automobilista sotto effetto di droga. Sono stati ricordati da Paola Gianotti, l’ultracyclist che pedala a fianco del Giro d’Italia per diffondere il messaggio della sicurezza stradale: “Io rispetto il ciclista” è il suo motto.
Seguendo il suo blog potrete capire perché questa battaglia le sia entrato dentro: “Questo tema lo sento mio più che mai da quando mi hanno investito negli Stati Uniti durante il mio giro del mondo […] potevo rimanere su quella lingua bollente di asfalto come è successo al piccolo Tommy. Tommy non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo ma ho avuto la grande fortuna di conoscere la sua incredibile famiglia. Marco, un padre pazzesco che lotta ogni giorno perché la morte di suo figlio non sia dimenticata e soprattutto perché questo possa non succedere più a nessun padre di un ragazzo di 14 anni ucciso mentre pedalava sulla sua bici con la spensieratezza di un adolescente nel pieno della vita. Cristina, una mamma fortissima che ha dovuto superare quello che nessuna madre al mondo vorrebbe mai affrontare ma che con il sorriso forte e speranzoso ha gli occhi dolci di una mamma che vive per la sua famiglia. Federica e Rebecca, le sorelline di Tommy che sono dovute crescere più in fretta della loro età ma che ti trasmettono un affetto incondizionato e poi il piccolo Giulio, che anche se non ha mai potuto conoscere il suo fratello Tommy, ne parla come se vivesse con lui nella sua bella e grande famiglia. Questa è la famiglia di Tommaso Cavorso. Quel ragazzo che porto sempre con me nel cuore, ogni volta che pedalo, ogni volta che vorrei che cambiassero le cose sulla strada”.
Tommy sapeva correre dice la pagina Facebook a lui dedicata, così come sapeva correre il piccolo Rosario Costa, il 14enne messinese della Asd Nibali scontratosi due anni fa esatti contro un autocompattatore sulla litoranea in provincia di Messina. Sapeva correre, eccome, fin anche ai vertici mondiali fra le Juniores, Marina Romoli. Che da otto anni lotta tra noi con la sua “Marina Romoli Onlus” per aiutare la ricerca e per sostenere i ciclisti che, come lei, sono rimasti invalidi a seguito di incidenti stradali.
Il tempo, è tristemente vero, fa scemare il ricordo di altri episodi e ogni volta, pare si riparta da zero, come se ogni parola spesa in tv, sui giornali nelle campagne istituzionali cadesse nel vuoto. Ultima, in ordine di tempo, la vicenda di Agnese Romelli e che sempre Elia Viviani ha messo in risalto col suo tweet.
Questa ragazza qualche Giorno fa a Gerusalemme mi ha chiesto a squarciagola una foto, mi sono fermato perché si vedeva che la voleva a tutti i costi, ora Agnese devi ascoltarmi tu, lotta con la stessa determinazione perché sei nella volata più importante????
un abbraccio pic.twitter.com/tUa9LmPSto— ELIA VIVIANI (@eliaviviani) 11 maggio 2018
La giovane ciclista di Clusone è stata investita mercoledì pomeriggio a Parre dopo che, pochi giorni prima era riuscita a strappare una foto con il suo beniamino. Agnese ha combattuto, è uscita dal coma, non è più in pericolo di vita. Agnese ha subito un’amputazione ma è lucida e pronta a iniziare un cammino difficile, con tanti amici pronti a sostenerla.
Le dinamiche non cambiano mai e le storie personali, di chi sopravvive o di chi fa sopravvivere un ricordo, sono utili a smuovere le coscienze ma ci deve essere un modo per non rendere vane le lacrime di questi anni. Lo si deve trovare per rispetto di Michele, Tommaso, Rosario, Biagio e i tanti che non ci sono più per quel maledetto attimo che si può chiamare destino o fatalità e che ci può trasformare in vittime o carnefici, a seconda del mezzo che decidiamo di utilizzare e di come decidiamo di guidarlo.