“Sono ancora in piedi grazie a voi”. Sono le parole della professoressa Antonella Russo, salvata dai suoi studenti. E’ accaduto a Torre Annunziata, all’istituto tecnico (non in un liceo) “Cesaro”. Da tre giorni l’insegnante di italiano non si vedeva in classe. Un’assenza anomala al punto da far insospettire questi ragazzi (non i colleghi docenti). E loro, la classe quinta A, non sono rimasti con il cellulare in mano a chattare, postare, taggare ma l’hanno usato quel maledetto telefonino per chiamare un pizzaiolo vicino di casa della loro insegnante.
L’hanno fatto mentre con l’auto di un altro professore raggiungevano la casa di Antonella Russo rimasta intrappolata nella sua abitazione per un malore da tre giorni.
Eccoli i giovani del 2000. Sono questi, uguali a quelli di sempre: li ami e loro ti amano. Non ti dimenticano. Da Torre Annunziata ci è arrivata una lezione contro l’indifferenza e a darcela sono dei ragazzi. Sì, proprio loro, quelli che definiscono sdraiati, mammoni, violenti, aggressivi, maleducati e chi più ne ha più ne metta.
Alessio, Liana, Eduardo, Antonio e tutti gli altri della classe non sono degli eroi. Non facciamoli passare per l’eccezione. La questione è un’altra: quella professoressa per loro non era uguale ad un altro docente, probabilmente. Lei aveva insegnato loro la passione per la materia. Hanno raccontato di averla vista piangere sui versi di Ungaretti che riaprivano una sua personale ferita.
Questa bella notizia è in realtà un monito: non abbiamo bisogno di professori credenti ma credibili. Nella scuola quando ci sono uomini e donne che sono credibili perché insegnano la materia con una passione che esce dai loro occhi, che si fa viva; perché non nascondono le loro emozioni; perché sanno prendersi cura degli studenti; perché “perdono” tempo con loro; i ragazzi si innamorano di te. E’ un amore come quello tra un padre, una madre e dei figli. Anzi di più. Perché quel docente prima o poi ti lascerà andare per le tue strade e di lui resterà solo la lezione più bella: quella della sua vita.
La professoressa Russo e i suoi ragazzi mi hanno ricordato tutte quelle volte che i bambini cui insegno non mi hanno lasciato solo. Non ho mai nascosto le mie emozioni. Ho pianto riascoltando con loro la musica di un amico cantautore scomparso troppo presto. Mi sono emozionato parlando loro di Falcone e Borsellino. Non ho nascosto le mie delusioni, i miei difetti, le mie fragilità. Ecco, quando l’umanità si incontra ci si riconosce.
Se la professoressa Russo fosse stata di quelle che non accenna mai ad un sorriso, che insegna senza far trasparire una smorfia, un’emozione, un segno di vita, forse sarebbe rimasta nel suo appartamento ancora a lungo.
Speriamo che di là della notizia qualcuno si accorga di questi ragazzi: alla preside sfregiata il ministero dell’Istruzione ha attribuito giustamente il titolo di cavaliere della Repubblica.
Ora a questi ragazzi andrebbe almeno dato il titolo di alfieri della Repubblica!