Dopo settimane di distensione, la Corea del Nord ha messo in forse i prossimi incontri tra diplomatici delle due Coree e il summit  –  senza precedenti  –  tra il leader di Pyongyang Kim Jong-un e il presidente Usa Donald Trump previsto per il 12 giugno. I motivi li ha spiegati il primo vice ministro nordcoreano per gli Affari esteri Kim Kye Gwan in un dispaccio riportato dall’agenzia di stampa statale KCNA. Letteralmente: “Se gli Stati Uniti stanno cercando di spingerci in un angolo ottenendo con la forza il nostro abbandono unilaterale al nucleare, non siamo più interessati a tale dialogo e non possiamo che riconsiderare il nostro procedere verso il summit con gli Stati Uniti”. Nello specifico, a inviperire Pyongyang pare essere stato il riferimento infelice con cui il nuovo consigliere americano per la Sicurezza nazionale John Bolton ha ventilato una “soluzione libica” in riferimento allo smantellamento dell’arsenale nucleare nordcoreano. Un accostamento delicato che sembra rievocare il cambio di regime a cui è andato incontro il paese nordafricano e che Pyongyang teme più che mai, nonostante le recenti rassicurazioni del segretario di Stato Mike Pompeo in proposito.

“Abbiamo fatto luce sulla qualità di Bolton già in passato, e non nascondiamo il nostro sentimento di ripugnanza nei suoi confronti”, ha dichiarato Kim Kye Gwan ricordando il reciproco astio datato data fin dall’amministrazione Bush. All’epoca Pyongyang reagì alle sue critiche sullo stato dei diritti umano a nord del 38esimo parallelo definendo il funzionario statunitense “feccia umana” e “sanguisuga“. “Il mondo sa fin troppo bene che il nostro paese non è né la Libia né l’Iraq, nazioni che hanno incontrato un destino miserabile”, ha aggiunto Kim,  “è assolutamente assurdo osare confrontare la Corea del Nord, uno stato dotato di armi nucleari, alla Libia, che era ancora nella fase iniziale del suo sviluppo nucleare”. Bocciata anche l’ipotesi di una rinuncia al programma nucleare in cambio di incentivi economici. Chiara risposta all’offerta con cui nei giorni scorsi Pompeo aveva tratteggiato la prospettiva di investimenti privati statunitensi al Nord una volta accertata la disposizione di Pyongyang a rinunciare all’atomica. Un compromesso inaccettabile dal momento che la Corea del Nord ha già manifestato la propria “intenzione a denuclearizzare la penisola coreana e chiarito in diverse occasioni che la condizione preliminare per la denuclearizzazione è porre fine alla politica ostile anti-Corea del Nord nonché alle minacce nucleari e al ricatto degli Stati Uniti“.

L’invettiva caustica del vice ministro nordcoreano arriva a stretto giro dall’improvviso annullamento – “a tempo indeterminato” – del vertice intercoreano previsto per oggi a causa delle esercitazioni militari Max Thunder tra Washington e Seul. Stando a quanto comunicato via fax al ministero dell’Unificazione dal capo della delegazione del Nord, si tratta di “provocazione” nonché “una sfida non dissimulata alla Dichiarazione Panmunjom”, il documento che ha suggellato lo storico incontro tra i leader delle due Coree. Proprio allora Kim Jong-un sembrava aver sfoggiato una comprensione insolita davanti all’ipotesi di una ripresa delle operazioni aeree tra i due alleati, che si tengono ogni primavera ma che quest’anno vanno in scena in misura ridotta, senza i bombardieri B-52, proprio per rabbonire il Regno Eremita. Secondo gli esperti, l’inversione a U messa in atto dal regime di Kim Jong-un potrebbe avere il duplice scopo di testare il clima e la disposizione al compromesso dell’amministrazione Trump. Non è la prima volta che succede. L’ultimo incontro tra le due Coree era stato programmato, annullato e riprogrammato nel giro di poche ore. Nel 2015, un concerto della band nordcoreana Moranbong, il gruppo preferito da Kim Jong-un famoso per mescolare canzoni pop all’”occidentale” e standard rivoluzionari, che doveva tenersi a Pechino in un evento di riconciliazione fu cancellato a poche ore dal suo inizio.

Sono solo “colpi di testa” del giovane Kim, spesso descritto come un giovane volubile? A quanto pare no. Anche questi apparenti capricci diplomatici hanno il loro preciso scopo: servono al regime per prendere tempo in vista dei futuri summit e aumentare il “leveraggio” nei negoziati con gli altri paesi. Ciò che sembra chiaro è che il “Regno eremita” non è disposto a sedersi al tavolo delle trattative senza un riconoscimento delle controparti del proprio status di “potenza nucleare” responsabile – cioè inoffensiva . Al momento, inoltre, a fronte delle nuove esercitazioni militari congiunte sul confine, Pyongyang potrebbe considerare non sufficienti le garanzie circa la propria “sicurezza nazionale”, nodo fondamentale per la prosecuzione dei negoziati. La sospensione a tempo indeterminato di nuovi incontri diplomatici con la Corea del Sud potrebbe dipendere proprio da questi fattori. Ora la palla torna a Washington, che intanto ha già fatto intendere che i preparativi per il vertice Kim-Trump sono ancora in corso. Pyongyang ha dimostrato la propria volontà di andare incontro alle richieste della comunità internazionale, a partire dalla scarcerazione, avvenuta la scorsa settimana, in coincidenza dell’arrivo a Pyongyang del segretario di Stato Usa Pompeo, di tre cittadini americani detenuti in Corea del Nord per non ben precisati crimini contro il regime. Questa settimana, poi, la Corea del Nord ha invitato i giornalisti di tutto il mondo ad assistere alla chiusura dell’unico sito per i test nucleari di cui al momento si conosce l’esistenza probabilmente già messo fuori uso da un crollo.

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