Avrebbero aiutato Antonello Montante a distruggere parte del suo archivio segreto. Per questo motivo sono indagate per favoreggiamento. Si allarga il numero delle persone coinvolte nell’inchiesta della procura di Caltanissetta che ha portato all’arresto dell’ex presidente di Confindustria Sicilia e di altre cinque persone. Nel registro degli indagati sono finiti i nomi di due strette collaboratrici di Montante, Carmela Giardina e Rosetta Cangelosi. Secondo gli inquirenti avrebbero aiutato l’imprenditore a distruggere alcuni documenti del suo archivio, custoditi dentro una ventina di pen drive, poi nascoste in uno zaino lanciato dal balcone poco prima dell’arresto. Gli investigatori hanno recuperato anche questo materiale.

Un avviso di garanzia, per concorso in corruzione, è stato notificato al vice questore aggiunto Vincenzo Savastano, in servizio all’ufficio della polizia di frontiera dell’aeroporto di Fiumicino. Sale così a 25 il numero degli indagati dell’inchiesta, anche se i magistrati stanno valutando in questo momento la posizione di altre persone che avrebbero avuto un ruolo nella rete di spionaggio che sarebbe stata al servizio di Montante.

“Il mio assistito, all’arrivo della polizia nella sua abitazione, non si è disfatto di alcuna prova di reato. Temendo che non si trattasse di agenti ma di malviventi, ha tardato ad aprire e ha cercato di mettersi al sicuro. Il contenuto delle pen drive danneggiate, ritrovate dai poliziotti nello zaino dell’indagato, era stato trasferito in altre chiavette perfettamente funzionanti, già in possesso degli inquirenti”, dice però l’avvocato Giuseppe Panepinto, che con Nino Caleca difende l’imprenditore. “Abbiamo iniziato e continueremo a ribattere punto per punto ad ogni accusa – ha aggiunto Panepinto – ma è ancora presto, prematuro delineare un quadro chiaro della vicenda. Basti pensare che il mio assistito non ha ancora letto le 2.500 pagine dell’ordine di custodia cautelare perchè ha dimenticato il documento a Milano, dove è stato fermato dagli agenti”.

Montante, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, è stato interrogato ieri pomeriggio dal gip Maria Carmela Giannazzo. Un interrogatorio durato circa sette ore e terminato solo in tarda serata: l’ex numero uno degli imprenditori isolani ha lasciato il palazzo di giustizia nisseno intorno alle 23. Presenti all’interrogatorio anche il procuratore capo Amedeo Bertone e i pm che coordinano l’inchiesta. L’ex numero uno degli imprenditori siciliani ha risposto alle domande ma ha respinto tutte le accuse a suo carico, attaccando i suoi più grandi accusatori, gli imprenditori Marco Venturi e Alfonso Cicero, sostenendo la loro “inattendibilità“. Ma non solo. Quando il gip gli ha chiesto perché tenesse un caveau nella sua abitazione di Serradifalco contenente diversi dossier su politici, imprenditori e giornalisti, Montante avrebbe detto che quella stanza fosse lì a sua insaputa.

Per il resto ha più volte ribadito di avere “sposato” le istituzioni temendo che adesso “Cosa nostra me la farà pagare“. “Ho stravolto la mia vita – ha detto – e sono sicuro che non posso più tornare indietro”. “Io non ho mai avuto vantaggi, né appalti, né finanziamenti”, ha continuato a ripetere ai magistrati. Secondo gli inquirenti, Montante avrebbe creato una rete di spionaggio formata da ufficiali dei carabinieri, della Guardia di Finanza e della polizia, che lo avrebbero aggiornato sulle indagini sul suo conto. L’imprenditore ha negato e ha parlato di “rapporti istituzionali“. Uno dei suoi legali, l’avvocato Caleca, al termine dell’interrogatorio, ha ribadito che “l’indagine che era partita per concorso esterno questa non ha trovato riscontro, e ora Montante deve difendersi dai rapporti con uomini dello Stato. Ha detto al gip di avere scelto di stare dalla parte dello Stato e su questo rapporto ha costruito la sua vita”.

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