Stanno chiusi nella loro camera da letto, non escono mai, non vogliono alcun contatto con l’esterno. Abbandonano la scuola e gli amici. L’unica loro forma di relazione è la Rete: sono gli “hikikomori”, una terminologia giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”. E se al momento è coinvolta l’1% della popolazione nipponica (500mila casi accertati), in Italia si stimano 100mila casi secondo l’Associazione italiana di informazione e supporto sul tema dell’isolamento sociale volontario.

Un dato ufficiale non esiste perché l’attenzione per questo fenomeno è ancora marginale, ma secondo Marco Crepaldi, presidente e fondatore di “Hikikomori Italia”, potrebbe essere persino un numero sottostimato: “Ci siamo accorti che questo disagio sociale sta aumentando. Abbiamo mille genitori che fanno parte dei nostri gruppi e 500 ragazzi che sono entrati a far parte della nostra community”.

“In Italia si preferisce usare termini simili ma non si coglie il fatto che si tratta di un fenomeno nuovo. È una sottocategoria dei “neet”. Possiamo dirla così: tutti gli “hikikomori” sono “neet” ma non tutti i “neet” sono “kikomori”. Quest’ultimi – spiega Crepaldi – sono quei ragazzi che non vogliono lavorare, studiare, ma che hanno scelto anche di isolarsi. La loro caratteristica principale è che rifiutano la società e si chiudono nella propria camera usando solo Internet come mezzo di contatto”.

Ma ora un aiuto potrebbe arrivare dal ministero dell’Istruzione che con l’inizio del prossimo anno scolastico dovrebbe inviare a tutte le scuole una circolare che prevede l’istruzione domiciliare anche per questi casi. Ad annunciare la novità è stato Guido Dell’Acqua, della Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione del Miur, nel corso del seminario “Hikikomori: il ritiro sociale degli adolescenti e la scuola come risorsa” che si è tenuto nei giorni scorsi al liceo scientifico “Manfredi Azzarita” di Roma.

Una decisione che trova il plauso di Crepaldi che dal 2013 sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione sul tema: “Sono stato contattato da tutt’Italia: abbiamo dei gruppi online per i genitori, altri dedicati ai ragazzi e 170 soci. Spesso siamo l’ultima spiaggia di mamme e papà. Quando il figlio comincia a recludersi contattano medici, psicologi, psichiatri senza avere risultati. A quel punto si affidano alla Rete e scoprono il nostro sito. Spesso iniziano un percorso di mutuo aiuto”.

Non è facile scoprire le cause di questo problema che coinvolge adolescenti e non solo. A detta degli esperti possono essere caratteriali; familiari (l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento con la madre); scolastiche o sociali ma la dipendenza da Internet non è la principale responsabile del fenomeno ma la conseguenza dell’isolamento.

Uno degli obiettivi di “Hikikomori Italia” è la formazione: “Vogliamo – spiega il presidente – che gli psicologi e i medici comprendano che non può essere una problematica standardizzata alle altre categorie che già esistono. A breve faremo partire uno sportello d’ascolto in Rete con degli psicologi”.

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