La giornata di tensione sul futuro dell’istituto senese riporta in primo piano il rapporto delicato e pericoloso tra politica e banche. Sono bastate poche parole del leghista Borghi a fare affondare il titolo sul cui salvataggio i cittadini hanno già pagato miliardi
Ennesima giornata difficile per Mps in Borsa. I titoli della banca senese sono stati lungamente sospesi per eccesso di ribasso e hanno poi terminato la seduta in calo dell’8,8% a 2,92 euro con oltre 9 milioni di pezzi scambiati.
Il tentativo di ripresa delle quotazioni iniziato la scorsa settimana con la diffusione di conti trimestrali in utile pare già abortito. A riportare il titolo sulla terra le dichiarazioni dell’onorevole leghista Claudio Borghi che – a mercati aperti – non ha esitato a parlare del futuro della banca spiegando il punto nel contratto tra Lega e M5S che riguarda Mps in cui si dice che “la banca deve essere ripensata in un’ottica di servizio. In buona sostanza, l’obiettivo è quello di abbandonare l’idea di farci i profitti vendendola a chissà chi, ma mantenerla come patrimonio del Paese”.
Nulla di trascendentale, a parte il fatto che per ottenere il via libera a salvare la banca con soldi pubblici l’Italia si è impegnata formalmente con l’Unione europea a uscire dal capitale entro un certo numero di anni e che quindi “mantenerla come patrimonio del Paese” come dice Borghi o nazionalizzarla totalmente, come pure qualche esponente dei 5 Stelle ogni tanto propone, non pare una strada percorribile.
Il punto però è che la politica continua a giocare con i soldi altrui in modo del tutto irresponsabile. Le idee di Borghi, della Lega e dei 5Stelle non sono certo una novità, ma asserire a mercato aperto nel bel mezzo di una trattativa per la formazione del governo che il piano industriale approvato dalla banca è sostanzialmente carta straccia e che il cambio di governance di Mps – “pur non entrando nel contratto” – è “abbastanza probabile, quasi naturale” equivale a creare una vera e propria turbativa di mercato.
In un sistema moderno i parlamentari non dovrebbero godere di immunità per reati quali l’aggiotaggio e l’insider trading che danneggiano le società quotate e i loro azionisti. Dover rispondere delle loro parole li aiuterebbe a stare più attenti, tanto più che nel caso di Mps il primo azionista siamo noi, i contribuenti. Le parole “in libertà” di Borghi hanno fatto guadagnare un mucchio di soldi a qualcuno e ne hanno fatti perdere tantissimi a noi che attraverso il Tesoro abbiamo iniettato qualcosa come 5,4 miliardi nelle casse di Siena.
Per rendersi conto che il piano di rilancio messo a punto dall’amministratore delegato di Mps Marco Morelli non sia molto credibile basta guardare le quotazioni da ottobre ad oggi della banca (-35,8%), senza considerare che il Tesoro ha addirittura in carico le azioni a 6,49 euro (-55%). Che lo stesso Morelli non sia la persona più adatta a guidare la banca lo si è detto e lo si è scritto più volte, ma che forze politiche che si candidano a guidare il Paese (senza peraltro avere ancora formato un governo ed espresso, oltre che un premier, un ministro dell’Economia) prendano a picconate un’istituto che è appena stata faticosamente salvata con i soldi pubblici senza peraltro dare indicazioni concrete e credibili su cosa intendano farne in futuro è semplicemente inaccettabile.
E si fa fatica a dare torto a Pier Carlo Padoan, attuale titolare del ministero dell’Economia, quando – stigmatizzando le parole di Borghi – ricorda che “la fiducia si costruisce poco per volta, progressivamente, ma basta poco per distruggerla tirandosi dietro i risparmi degli italiani che a parole si vorrebbero tutelare”. Questo non significa che un futuro governo non possa o non debba rivedere le scelte che sono state fatte su Mps, ma non è certo questo il modo di occuparsi di materie tanto serie e delicate. Se il buon giorno si vede dal mattino, grandi danni ci aspettano nel futuro immediato.