Altro che Heidi e Clara. Sulle pecore nei parchi il Campidoglio fa sul serio, e – bisogna dire – i riscontri esterni (ed esteri) ci sono tutti. Il giorno dopo l’uscita in diretta Facebook dell’assessora capitolina Pinuccia Montanari rispetto alla possibilità di usare animali tosaerba per contribuire alla cura del verde a Roma, la responsabile all’Ambiente della Giunta guidata da Virginia Raggi ha incontrato il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri, con il quale ha impostato il lavoro per stilare una convenzione che permetta di avviare i progetti nel più breve tempo possibile. Sul piatto ci sono buona parte dei 50 milioni di metri quadrati di verde orizzontale e centinaia di animali pronti per essere ammessi dagli allevatori dell’agro romano. “Non siamo ancora giunti ai dettagli – ha spiegato Granieri appena terminato l’incontro – ma abbiamo concordato la necessità di lavorare insieme su questi punti. Gli ovini possono essere utilizzati non solo nei prati, ma anche per rimuovere le erbacce dai gradini, ad esempio”. Non solo. “In questo modo si può dare impulso anche alla produzione del pecorino romano, uno dei prodotti del Lazio più esportato al mondo”. Concetto rilanciato anche da Montanari che, in un’intervista a InBlu Radio, fra le altre cose ha dichiarato: “Quando l’erba è particolarmente alta si potrebbero utilizzare anche le mucche delle nostre aziende agricole”. Il Campidoglio ha già specificato che si tratta di una soluzione utilizzabile più nei grandi spazi periferici che nelle ville storiche cittadine.

L’ESPERIENZA PARIGINA E IL BOOM FRANCESE – Da due giorni a Roma quasi non si parla d’altro fra sfottò, facili ironie e qualche articolo ironico. In alcuni casi da parte delle stesse testate che nel 2013 davano ampio spazio all’iniziativa dell’allora sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë – poi proseguita dall’attuale Anne Hidalgo – di trasferire nella ville lumiere un gregge di pecore provenienti dall’isola bretone di Ouessant per brucare le erbacce di aree verdi periferiche come gli Archives de Paris, il Bois de Boulogne, il Bois de Vincennes e le Tuileries, fino addirittura a portare un piccolo avamposto nel prato sotto alla Torre Eiffel. Pare infatti che questa specie di ovini bretoni sia particolarmente indicata come “tosaerba”. In Francia questa pratica è diventata un vero e proprio business, fiutato fra gli altri da un’azienda, la Ecomouton di Sylvain Girard, divenuta dalla sua fondazione nel 2012 una specie di colosso del settore d’Oltralpe, noleggiando le sue oltre 1.500 pecore a istituzioni pubbliche (scuole, prigioni, parchi) e aziende private di varia natura. “Rispetto alla falciatura meccanica – spiegano dalla sede posizionata a sud della capitale francese – l’eco-pascolo può consentire un risparmio economico fino al 25% sul budget di manutenzione degli spazi verdi”. Se ne sono accorte anche le aziende ferroviarie, che utilizzando le pecore di Ouessant anche per brucare l’erba che invade i binari. Oggi, a Parigi le pecore si trovano dappertutto, perfino in tangenziale e sulle strade a grande percorrenza. Tanto che ora qualche associazione animalista ha iniziato a polemizzare con il Comune parigino lanciando il pericolo di cancro per gli ovini esposti al traffico, come riportato qualche settimana fa dal quotidiano online 20 Minutes.

DUBBI A TORINO, ENTUSIASMO A FERRARA, FLOP ALL’AQUILA – Ancora prima di Parigi, va dato atto all’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, di aver avviato all’ombra della Mole questo singolare eco-progetto, tuttora in voga, anche se il lavoro delle pecore non è mai arrivato davvero sotto il monumento antonelliano. “È una soluzione importante ma non risolutiva – confida a ilfattoquotidiano.it Enzo Lavolta, ex assessore all’Ambiente delle giunte di centrosinistra – Si possono usare negli spazi verdi periferici, come al Parco del Meisino, ma non in centro o dove magari i cittadini si aspettando di giocare a pallone o distendersi all’aria aperta”. E le pecore sembrano non aver aiutato il capoluogo piemontese a risolvere i propri problemi nella manutenzione del verde. “La mia città ha ancora tanti problemi da questo punto di vista – ammette – e le pecore non possono di certo sanare le difficoltà”. Quest’anno invece, la città di Ferrara non verrà raggiunta dalla consueta transumanza del pastore Massimo Freddi, che ogni anno dalla provincia di Brescia portava le sue 600 pecore a brucare l’erba intorno alla cinta muraria della città estense: per lui problemi di permessi. “E’ un vero peccato – ammettono dall’entourage del sindaco Tiziano Tagliani – il suo lavoro era utile e gratuito, i bambini si divertivano e gli escrementi delle pecore aiutavano la concimazione del terreno”. Freddi lasciava le proprie pecore a brucare per circa 20-30 giorni, per poi riportarle a Brescia: “Per noi era anche un risparmio di risorse”. Si è persa nel nulla, invece, la convenzione stipulata nel 2016 fra Coldiretti Abruzzo e l’allora sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente: con l’arrivo dell’attuale primo cittadino Pierluigi Biondi, l’esperienza ovina risulta in stand-by.

ECO-BUSINESS PRIVATO E RISPARMIO PUBBLICO – Nel 2015 fu proprio ilfattoquotidiano.it a raccontare la storia di Silvia Canevara, giornalista lodigiana convertitasi al pascolo di pecore bretoni. Due anni e mezzo fa la lasciammo con 20 ovini e tanti progetti, oggi la ritroviamo con un gregge raddoppiato (sono 40 le pecore) e un’attività ben avviata. “Spero di assumere presto qualche pastore – confida – per ora opero con i recinti”. Suoi clienti sono soprattutto dei privati, le istituzioni sono ancora dubbiose. “Noleggiamo le pecore a 1 euro al giorno l’una. Teoricamente, se qualcuno volesse prenderle tutte e 40 dovrebbe pagare solo 40 euro al giorno. Poi, certo, c’e’ il trasporto e la recinzione, ma non ne servono tantissime. Brucano a una velocità notevole”. E un bel risparmio. Proprio a Roma, in zona Osteria, tempo fa ricercatori del Centro Enea della Casaccia, impiegarono cinque asinelli per la ripulitura di 2,5 ettari, costati 9.500 euro, contro i 13mila di falciatrici e decespugliatori. L’importante è che il terreno non sia contaminato. “Il rischio è quello – spiega Silvia – soprattutto riguardo diserbanti, sversamenti illegali e verderame. Poi ci sono i piccoli rifiuti come i mozziconi di sigaretta o i tappi di birra. Alcuni grandi allevamenti fanno ingerire alle pecore delle calamite per attrarre i pezzi di ferro ed evitare che finiscano nel secondo stomaco”.

LE POLEMICHE SULLA MANUTENZIONE DEL VERDE – Insomma, l’utilizzo delle pecore appare utile ma non risolutivo, sicuramente una pratica ecologica in grado di portare nuove risorse nel settore dell’allevamento. Ma di certo non risolve i problemi di una città, come Roma, messa in ginocchio dall’inchiesta del Mondo di Mezzo. “Il vero problema – afferma Giulio Pelonzi, capogruppo capitolino del Pd – non sono i grandi parchi che preservano l’agro romano, ma l’assenza di manutenzioni dell’arredo urbano destinato a verde pubblico. Lo schloss Sanssouci, la Versailles tedesca dell’area berlinese, non ospita pecore ed è un capolavoro artistico di cura del verde. Le ville storiche romane potrebbero tornare a splendere con la programmazione, l’espletamento di bandi e gare ferme da mesi e la manutenzione cronicamente carente su molti dei settori fondamentali della città”. Mentre qualche nostalgico già immagina la caotica capitale odierna tornare come quella dell’800, immortalata da Ettore Roesler Franz nei famosi 120 acquarelli di Roma Sparita.

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