Hanno aiutato Davide Trentini, 53enne malato di sclerosi multipla, a realizzare la sua volontà di morire. Lo scorso aprile lo hanno accompagnato in Svizzera per il suicidio assistito. Ora Marco Cappato e Mina Welby, indagati a Massa per istigazione al suicidio e aiuto materiale, hanno chiesto il giudizio immediato. “Riteniamo indispensabile andare a un dibattimento pubblico”, ha spiegato l’avvocato Filomena Gallo, che è anche segretario dell’associazione Luca Coscioni, “nella speranza di aiutare il Parlamento a mettere in discussione la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia che da oltre 4 anni e mezzo giace alla Camera”. Proprio come voluto dallo stesso Cappato per un altro processo a suo carico, quello sulla morte di Dj Fabo, ora finito davanti alla Corte costituzionale.
Per Cappato e Welby, rispettivamente tesoriere e copresidente dell’associazione Coscioni, la procura di Massa ha chiesto il rinvio a giudizio. La difesa, chiedendo il giudizio immediato, ha rinunciato all’udienza preliminare fissata per il 31 maggio per andare subito davanti alla corte d’Assise. Una decisione che, spiegano dall’associazione, porterà Cappato e Welby a essere “giudicati per un reato punito in Italia in modo grave, proprio mentre la Corte di assise di Milano, tramite ordinanza, ha rimesso la stessa norma alla valutazione della Consulta per giudicarne i profili di costituzionalità”. Il reato in questione è quello indicato nell’articolo 580 del codice penale, cioè l’istigazione o aiuto al suicidio.
riteniamo indispensabile andare a processo per la morte di Davide Trentini, anche per smuovere il Parlamento. Abbiamo chiesto giudizio immediato. https://t.co/DAGQKMc9eo
— Marco Cappato (@marcocappato) 17 maggio 2018
Dopo la morte di Trentini a Basilea, anticipata da una lettera scritta prima del 13 aprile e diffusa da ilfattoquotidiano.it, in cui lo stesso Trentini ha raccontato le sofferenze che la sua malattia gli provocava ogni giorno, Marco Cappato e Mina Welby avevano deciso di autodenunciarsi ai carabinieri. Il primo per essersi adoperato, attraverso l’associazione Soccorso civile Sos eutanasia, per raccogliere i fondi mancanti per pagare la clinica elvetica. La seconda per averlo accompagnato in Svizzera ed essere stato vicino a lui fino all’ultimo. E ora la volontà di andare avanti, con un dibattimento pubblico, per accendere ancora una volta l’attenzione sul tema del suicidio assistito.