Nel loro docufilm Anna e Lucio, genitori di Gaia e delusi dalla scuola tradizionale, hanno esplorato l’educazione parentale, dall'homeschooling al metodo libertario. Dove al centro c'è la cooperazione, e non ci sono né voti né banchi. "Nessuna scelta è vincente, sta al genitore capire quale sia la cosa migliore da fare per i figli"
“Alla scuolina decidi tu cosa imparare, alla scuola pubblica lo decidono le maestre”. Gaia ha nove anni e parla della scuola democratica che frequenta da quasi due anni. E’ l’Officina del crescere di Genova, dove non ci sono né voti né banchi e alle pareti sono affissi i suggerimenti dei bambini: “Proposte sì: attività in lingua straniera, arte in spagnolo, cinese, arabo, inglese. Proposte no: fare i compiti”. Il modello della scuola democratica è al centro del documentario Figli della libertà, realizzato dai genitori di Gaia, Anna Pollio e Lucio Basadonne. Delusi dalla scuola tradizionale, hanno esplorato i metodi dell’educazione parentale, quella cioè che “pone al centro le passioni del bambino” e lo aiuta a svilupparle senza imporgli un’istruzione standard.
Ma come affrontare le istituzioni? “La prima cosa che un genitore può fare – dice Anna, insegnante di scuola superiore – è rilasciare una dichiarazione di istruzione parentale al preside della scuola di appartenenza”, in modo da essere garante dell’istruzione del figlio davanti alla legge, assicurandosi il superamento degli esami ministeriali affinché la sua formazione venga riconosciuta. A quel punto si può scegliere se istruire il bambino in casa o inserirlo in una scuola come quella di Gaia. In questo caso “non ci sono schemi fissi – prosegue Anna -. Quello che è uguale per tutti è che i bambini devono avere regole condivise e le famiglie si devono parlare”. E lo scopo è quello di creare una comunità di educatori e bambini, come quella di Gaia o come le altre che si vedono nel film: la Flow di Vicenza o la Serendipità di Osimo.
Nella scuola democratica frequentata da Gaia le decisioni comuni si prendono in assemblea e ciascuno sceglie un argomento a partire dal quale gli educatori delineano un percorso che gli permetterà di apprendere tutte le discipline. Un metodo che guarda al futuro secondo Lucio: “Nei nuovi modelli professionali non c’è il grande capo con la poltrona in pelle umana di Fantozzi ma persone dinamiche, in grado di cooperare. Questo lo impari da piccolo”. La scelta di educazione parentale, però, non è “contro la scuola – precisa -. L’obiettivo è piuttosto abbandonare un immaginario di istruzione legato alle lezioni frontali e a una disciplina stringente”. Per Anna, poi, “ci sono maestre formidabili ma sono vincolate da presidi e programmi ministeriali”.
A pensarla così non è solo la famiglia Basadonne perché “ne parlano studiosi come André e Arno Stern, che abbiamo voluto nel film, e pedagogisti come Monica Guerra o Daniele Novara”. E proprio lui nel film dice: “Non ha senso dare i voti. Il bambino è in un processo di apprendimento per cui continuerà a inanellare errori fino a che capirà”. Per mettere alla prova i loro dubbi di genitori, Anna e Lucio hanno visto cos’ha combinato nella vita chi ha seguito un’istruzione parentale. “Siamo andati a Summerhill, in Inghilterra – racconta Lucio -, una scuola di ispirazione libertaria che esiste da cento anni e che all’estero si chiama democratica”. Tra i “diplomati” c’è chi oggi è padre, chi ha preso una laurea in informatica, chi un dottorato, ma anche chi è tornato alla scuola pubblica perché “aveva paura di non farcela a diventare medico”. “Le loro storie – dice Lucio – raccontano che nessuna scelta è vincente”, ma “sta nell’abilità di un educatore o di un genitore capire che bambino hai davanti e trovare il metodo esatto”. Gli allievi della Summerhill, però, hanno tutti in comune una cosa: riconoscono che in quella scuola “s’impara da piccolo a sapere chi sei”.