Entra con aria papale Cate Blanchette, presidentessa della 71esima edizione del Festival di Cannes, e il primo cittadino di Cannes, David Lisnard, le va incontro festante mentre la banda musicale in abiti folkeggianti strimpella la marcia trionfale. Dopo lo scarpinetto si raggiunge la cima del Suquet, cuore pulsante della vecchia Cannes, per consumare  a costo zero (vista la ristrettezza delle note spese) l’usanza mangiareccia del Festival, l’”aïoli del sindaco”, invitata la presse internazionale. Unico invito senza code, lettere d’accredito e suppliche: la-prego-mi-faccia-entrare. Sembra quasi un picnic campestre dove l’aglio è coniugato in tutte le sue variazioni: tritato in salsa provenzale, sommerso nella maionese, affogato nella bouillabaisse, afflosciato sul merluzzo, sulla grigliata e sulle uova sode. Cate resiste e non tocca il “gastronomico” aglio. E meno male che non è superstiziosa, l’aglio svolgerebbe, non solo per i napoletani, anche funzione anti/malocchio.

Quest’anno sulla Croisette c’è poco divismo: Cannes ha boicottato NetFlix, ha ribadito che i Festival sono le vetrine solo per i film che vanno nelle sale cinematografiche. Dunque Netflix con le sue produzioni seriali e da grande budg scaricabili dal computer se ne sta a casa anche se, a conti fatti, è diventato un’importante fonte di finanziamento del cinema hollywoodiano. Senza filmoni americani, anche di celebrities se ne sono viste poche, fatta eccezione per Vanessa Paradis, Valeria Golino, e la mammasantissima delle fashion blogger Chiara Ferragni in total pink. Mentre la supermodel Elsa Hosk, da cestista della nazionale svedese e angelo di Victoria Secret, splendida nell’abito bustier d’organza rosso geranio griffato Ermanno Scervino, è stata la più applaudita al gala dell’Amfar all’Eden Roc a Cap d’Antibes. Il siparietto John Travolta sulla Croisette è stato uno dei momenti più divertenti. Presentato il suo film Gotti, dove interpreta il boss mafioso della Little Italy negli anni ’70, ha festeggiato anche i 40 anni del cult movie Grease, riproposto in versione restaurata in una proiezione sulla spiaggia, con tanto di beach party. John Travolta fever anche  durante il concerto di 50 Cent, dove l’attore si è scatenato con il rapper riproponendo le mosse della celebre scena del ballo Pulp Fiction.

“E una Cannes da film d’autore. Molti di questi non li vedremo neanche in Italia”, chiosa Roselina Salemi,  antenne e fiuto da critica del cinema, che del festival apprezza invece l’aria di festa che si respira ovunque. In black tie e abito da sera anche i comuni mortali (non quelli invitati ai mega party sui barconi o nelle suite dei cinquestelle) anche solo per vedere la sfilata del red carpet o per dare una sbirciatina nella sala del Teatro Lumière. I pronostici danno per vincente Cold War del regista polacco Pawel Pawlikowski. Hanno scritto meraviglioso e ipnotico. Siamo nella Polonia degli anni ‘ 50, schiacciata dall’oppressione e ancora in miseria per la guerra appena conclusa. Il regime controlla i cittadini, la propaganda fa di tutto per mantenere il consenso. I due protagonisti guardando le macerie di una chiesa distrutta dai bombardamenti e provano a immaginare un futuro non da anime disperate.

Scambia Cannes per una tribuna politica il regista Spike Lee, anti Trump che apostrofa motherfucker e contro le democrazie contemporanee (che per lui sono bullshits) e ribadisce il suo concetto base: “Gli Stati Uniti sono stati fabbricati sul sangue di genocidi e schiavitù”. Grande ovazione dunque per l’anti-razzista Blackkklansman di sostegno alle minoranze perseguitate. Il fashion system è ben rappresentato da Olivier Rousteing, stilista enfant prodige di Balmain, accolto come una vera celebrity, seguito da una corte composita di creativi, non bijouttati, non scintillante, formata da letterati e artisti, suoi amici. Fuori concorso il bellissimo documentario su Whitney Houston, morta tragicamente di abusi di alcol e droga, schiacciata dal peso della sua celebrità. Cannes è anche questo.

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