Le lombarde hanno una storia gloriosa alle spalle, le bianconere sono nate solo un anno fa e grazie alla potenza economica della casa madre sono arrivate subito al vertice acquistando le migliori giocatrici del campionato. Il sintomo di una cambiamento profondo di tutto il movimento. Giuseppe Cesari, il patron delle Leonesse, a ilfattoquotidiano.it: "Se l'obiettivo è aumentare il numero delle tesserate non basta che le squadre professionistiche rilevino quelle non professionistiche; bisogna piuttosto obbligare i grandi club a cominciare dalle bambine, creando nel giro di pochi anni tutto il settore giovanile"
C’è un’altra Juventus a cui la matematica non ha assegnato lo scudetto. È la Juventus women, la squadra femminile di proprietà della famiglia Agnelli, che, nata poco meno di un anno fa, si giocherà la vittoria del campionato di Serie A alla sua prima partecipazione. Lo farà con uno spareggio, dall’esito nient’affatto scontato, contro il Brescia calcio, società tra le più titolate in Italia a livello femminile: la sua storia è lunga 23 anni e conta due scudetti, 3 Coppe Italia e 4 Supercoppe in bacheca. Le due squadre si sono tenute testa tutto l’anno chiudendo il campionato appaiate a 60 punti: 20 vittorie, nessun pareggio e solo due sconfitte; negli scontri diretti l’ha spuntata all’andata l’una e al ritorno l’altra.
“Giocano due squadre alla pari – spiega a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Cesari, presidente del Brescia – L’estate scorsa abbiamo dovuto ricostruire la rosa da zero: pensavamo di essere competitivi ma non fino a questo punto. Ora ci giochiamo lo scudetto e la Coppa Italia. Senza avere un colosso alle spalle, una società potente come la Juventus”. Lo spareggio si giocherà a Novara domenica alle ore 20,45, non sabato alle 15 come era previsto. La Juventus, infatti, ha chiesto e ottenuto che non si disputasse in contemporanea con l’ultima partita della squadra maschile contro il Verona, a cui seguirà la festa scudetto. “Lo slittamento ci è costato 12mila euro – commenta Cesari, che pure ha dato il suo benestare all’operazione – La Lega Dilettanti ci ha chiesto di accollarci le spese del campo (che in principio doveva essere quello neutro di La Spezia, ndr) ma a quel punto ci siamo impuntati e scelto data, orario e location. Abbiamo dovuto addirittura convincere la Rai a trasmettere l’incontro. Una cosa scandalosa”.
Le parole di Cesari trovano conferma nel documento ufficiale diffuso dalla Lega Dilettanti (di cui i campionati di Serie A e B femminile fanno ancora parte) che peraltro annuncia “ogni più opportuna azione a tutela della propria dignità” contro il direttore generale della Juventus, Beppe Marotta, che di fronte a un iniziale rifiuto aveva parlato di “dirigenti ottusi” e di “comportamento da dilettanti”. “La rottura con la LND e la decisione di passare sotto il controllo della Figc a partire dal prossimo anno erano inevitabili – aggiunge il numero uno del Brescia – Dicono di aver investito ma a questi signori non importa nulla del calcio femminile”. Schermaglie di questo genere erano forse prevedibili quando i grandi club hanno fatto il loro ingresso nel femminile. Fino a due stagioni fa, infatti, lo scenario era del tutto diverso e probabilmente più facile da gestire: ad animare il campionato c’erano quasi esclusivamente squadre di provincia il cui unico “potere economico” era la passione di calciatrici e dirigenti. Per il resto pochi soldi, sponsor raccattati qua e là e stipendi bassi anche ad alti livelli.
Nel 2015 le cose cambiano: la Figc vara un nuovo regolamento che obbliga le squadre di Serie A e B maschili a tesserare venti calciatrici under 12. In alternativa le società possono mettersi in regola rilevando il titolo sportivo di un club femminile già esistente e iscrivendosi ai tornei nei quali milita. Così è nata la Fiorentina women’s, ex Firenze calcio e campione d’Italia 2016/2017, così il Sassuolo, ex Reggiana, così la stessa Juventus women frutto dell’acquisizione del Cuneo calcio. L’obiettivo della nuova direttiva è chiaro: spingere affinché l’intero movimento cresca e raggiunga la visibilità – e il giro d’affari – che muove all’estero. Percorso non facile in Italia dove il calcio è percepito come uno sport soprattutto maschile e le ragazze che lo praticano a livello agonistico non dispongono di mezzi, strutture e tutele (alle storie delle giovani calciatrici del Ravenna woman abbiamo dedicato un reportage su FqMillennium). Per le big del calcio, invece, le cifre del mercato femminile sono davvero risibili: per farsi un’idea, basti sapere che la Federazione ha stanziato nel femminile 4,2 milioni di euro per il 2017, più o meno quanto guadagna il solo Nainggolan in un anno.
L’esempio della Juventus women, poi, fa scuola: nata nell’agosto 2017, ha scelto come tecnico Rita Guarino, allora allenatrice alla Nazionale under 17, e composto un vero e proprio dream team, tanto che nove undicesimi della Nazionale che sta cercando di qualificarsi ai Mondiali di Francia 2019 giocano proprio a Torino. Molte le calciatrici strappate alla concorrente Brescia: per citarne alcune, la centrocampista Martina Rosucci, la punta Barbara Bonansea e Sara Gama, la calciatrice italiana più rappresentativa, capitano della Juve e della nazionale, e membro federale per lo sviluppo del calcio femminile.
“Ad agosto tutte le nostre migliori calciatrici sono andate via: chi alla Juventus, chi al Sassuolo – dice a ilfattoquotidiano.it il presidente del Brescia – Ma non ce l’ho con loro: il futuro è nel professionismo e hanno fatto la scelta giusta. La nostra è una bella squadra, nelle ultime stagioni abbiamo vinto quasi tutto e giocato per cinque anni in Champions League. Ma non abbiamo un centro sportivo, facciamo le trasferte in giornata per risparmiare. Al contrario delle squadre professionistiche che hanno spazi e disponibilità economica per permettere alle ragazze di crescere. Quest’anno abbiamo fatto un miracolo a contenere i costi – continua ancora Cesari – Ma diventa sempre più difficile per me competere con questi colossi”. Gli unici introiti sostanziosi per le società ancora “indipendenti” vengono dagli sponsor ed è difficile dire di no: “C’è stata molta polemica sul sito d’incontri che c’ha fatto da sponsor nelle ultime settimane – dice Cesari -: ho verificato personalmente che si trattasse di un’azienda seria e che il sito non avesse nulla di pornografico. Nel merito non accetto morali. Le ragazze stesse non hanno avuto problemi ad indossare quel logo”.
Il calcio femminile italiano, dunque, è in piena rivoluzione ma lo sviluppo sembra dover passare dal maschile: “Non c’è altro modo per far crescere il movimento. Ma devono esserci delle regole – spiega Cesari -: se l’obiettivo è aumentare il numero delle tesserate non basta che le squadre professionistiche rilevino quelle non professionistiche; bisogna piuttosto obbligare i grandi club a cominciare dalle bambine, creando nel giro di pochi anni tutto il settore giovanile”. A questo punto le piccole società, di grande tradizione, potrebbero rientrare in gioco e occuparsi proprio del vivaio. Qualche giorno fa la stampa sportiva ha parlato di un interessamento da parte del Milan a rilevare il Brescia. “Non c’è nessuna trattativa, nessun emissario cinese è venuto da me – smentisce Cesari – Ma le confesso: se dovessero offrirmi quello che dicono i giornali, cioè un milione di euro, non li farei neanche finire: correrei io a lavorare per loro”.
Foto tratta dalla pagina Facebook di Acf Brescia calcio femminile