di Paolo Galletti
E se invece ce la facessero a dare una svolta a questo Paese? Ormai da 10 giorni si assiste a un crescente aumento del fuoco di sbarramento contro il possibile governo “gialloverde” al quale viene imputato ormai di tutto; dal crollo in borsa alla crisi del Monte dei Paschi, dal revanscismo neofascista ai reumatismi per il maltempo. Oggettivamente le perplessità non mancano e alcune improvvide uscita di qualche esponente poteva essere risparmiata, però la foga con la quale le grandi firme della stampa nazionale si vanno avventando contro il tentativo delle due sole forze uscite vincenti dalla consultazione elettorale del 4 marzo fa pensare.
Intanto non si capisce cosa si vorrebbe al posto della soluzione alla quale stanno lavorando Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Le due sole alternative possibili sono l’ennesimo governo con dentro tutti oppure le elezioni. La prima ipotesi darebbe il colpo di grazia alla residua credibilità del sistema politico dato che sarebbe inevitabile per gli elettori considerare che comunque si esprimano nelle urne poi il Palazzo fa quel che vuole; la seconda porterebbe un’incertezza anche più grande delle attuali ventilate ipotesi di programma e soprattutto non offrirebbe (grazie a una demenziale legge elettorale) alcuna certezza sul fatto che ne scaturirebbe un nuovo e più solido equilibrio.
E poi mi vien da chiedere: perché Lega e Movimento 5 stelle non possono provare a governare? “Faranno danni!” si dice e si scrive con ponderosa serietà. Eh sì, in effetti il Governo Berlusconi che ci hanno condotto sull’orlo della bancarotta in virtù di misure di finanza creativa erano una certezza di stabilità, il Governo tecnico di Mario Monti che ha massacrato cittadini, creato l’ancora irrisolto problema degli esodati e sottratto la giusta pensione a migliaia di italiani è stato un toccasana. E che dire delle prodezze di Matteo Renzi? Uno buono solo a giocare con le slides, a battere i pugni in casa e baciare pantofole in Europa, uno capace di affossare la fiducia nel sistema bancario italiano firmando in un quarto d’ora il decreto del 22 novembre 2015 senza nemmeno rendersi conto delle conseguenze; “salvabanche” l’aveva chiamato, esattamente come la “buona scuola“, il “Jobs act” e gli altri slogan vuoti di contenuto e perniciosi nella sostanza che hanno accompagnato la sua parabola politica fortunatamente discendente.
Insomma non è che chi ha preceduto Salvini e Di Maio abbia brillato nella conduzione del Paese o abbia varato misure salvifiche e rigeneranti. Mi pare, a ben guardare, che sia stata una sciagurata gara a chi fa peggio. Il 4 marzo gli italiani hanno dimostrato che la fedeltà alle scuderie che ha accompagnato per 60 anni le dinamiche elettorali nel nostro Paese non c’è più. C’è invece, e forte, la voglia di provare a cambiare.
Anche l’Istat pochi giorni fa a fotografato un’Italia ferma, con l’ascensore sociale bloccato. La gente si è stufata dei salotti che si autogiustificano e si automagnificano e anche di tutte queste trombe che annunciano un diluvio che con ogni probabilità non verrà mai. E se invece ce la facessero?
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