Quarant’anni e una vita finora trascorsa così, fra le lamiere di una baracca dove chiudeva gli occhi e sognava gli applausi. Calabrese di un paesino in provincia di Reggio, Marcello Fonte non ci crede ancora di aver vinto come miglior attore protagonista al Festival di Cannes. “Certo che lo volevo questo premio, e non l’ho preso subito in mano per godermelo un po’ di più, capita una volta nella vita e ho contato fino a tre – come quando si parla che forse è la cosa migliore – prima di acchiapparlo”.
Ha fatto ridere e commosso, un vero personaggio dal cuore grande e la parola prota. E infatti reagisce alle domande da professionista esperto: “Si chiude un cerchio e se ne apre uno nuovo con questo premio, un premio che dedico anche a mio padre che ha cresciuto me e i miei fratelli senza avere niente, con l’arte d’arrangiarsi e che ora non c’è più”. E non dimentica Matteo Garrone che l’ha voluto fortemente nel suo Dogman “Lui è una persona sportiva e leale. È preparato e fa sempre come vuole, segue il suo istinto, non si fa ingannare da nulla. Quando penso a Matteo mi viene in mente un allenatore di calcio, è un mister che conosce bene la sua squadra e sceglie la formazione giusta ogni volta che si va in campo, nel nostro caso il campo è il set. Siamo sempre stati una squadra compatta, in orizzontale e non piramidale, un lavoro di insieme”. Quanto ai suoi amati cani, Marcello gioisce perché uno di loro ha vinto il Dog Palm 2018, “è la cagnolina congelata, abbiamo ritirato ieri il premio poi io glielo consegnerò tornando a Roma. Il problema è che ha il collare troppo largo, dovrò fare un po’ di buchi perché lei è piccola”.
Insomma, commenti su tutto ma con un’autenticità e una tenerezza di rara natura. Quella che caratterizza, guarda caso, i personaggi di Alice Rohrwacher con la quale Marcello ha lavorato in Corpo celeste, girato appunto nella sua terra, la Calabria. “Sono felicissimo per Alice, e per il produttore Cresto-Dina con cui ho lavorato per il film Asino vola nel 2014”. Da un Lazzaro “felice” all’altro, da parte sua Alice Rohrwacher è più abituata ai premi, fin da giovanissima autrice prima di Corpo celeste (pluripremiato in vari festival dopo essere stato presentato alla Quinzaine des Realisateurs) e poi de Le meraviglie vincitore a Cannes del Gran Prix nel 2014. Alla conferenza stampa post premio per la miglior sceneggiatura per il suo Lazzaro felice, la cineasta ha confermato di “voler cercare proprio la semplicità che appariene al suo Lazzaro: perchè é grazie a quello sguardo che si raggiungono livelli diversi di profondità”. E ancora una volta ha definito quanto la sua sceneggiatura sia “bislacca” spiegando che per lei “la sceneggiatura è un processo per arrivare altrove, quindi è di per sé imperfetto. Il fatto che l’abbiano premiata mi ha riempito di gioia perche significa che vi hanno visto al suo interno gli attributi per ciò che sarebbe diventata”. Per la giovane autrice è “bellissimo quando si riescono ancora a fare film così liberi dalle regole di sceneggiature ordinate e precise”. Un insegnamento questo che probabilmente le arriva da certa eredità di cinema italiano: “I grandi maestri sono dentro di me come un’eredità che forma la memoria, infatti io penso che solo quando il cinema riesce a formare la memoria è grande cinema”.