di Nicola Acocella
Nell’Unione monetaria europea (Ume) le istituzioni e le politiche intraprese hanno tollerato o alimentato asimmetrie in parte preesistenti, che hanno generato a loro volta squilibri macroeconomici. Indichiamo prima le istituzioni e le politiche europee e poi le asimmetrie. Segue qualche riflessione sulle possibili vie di uscita.
I difetti delle istituzioni dell’Unione Monetaria Europea
L’Ume, entrata in vigore il 1° gennaio 1999, è caratterizzata da una politica monetaria unica, con la quale la Banca Centrale Europea (Bce) stabilisce un unico tasso di interesse nominale valido in tutti i Paesi membri. La Bce è un’istituzione indipendente dal potere politico e conservatrice, avente per obiettivo un tasso di inflazione inferiore – ma vicino – al 2%. Soltanto in via subordinata, quando questo obiettivo predominante sia soddisfatto, la Banca può perseguire altri obiettivi come l’occupazione e la stabilità finanziaria, che invece costituiscono obiettivi di pari dignità dell’inflazione per altre banche centrali, come la Federal Reserve statunitense. La Bce agisce da prestatore di ultima istanza per il sistema creditizio che abbia bisogno di rifinanziarsi, ma non può prestare – almeno direttamente – agli Stati membri. Gli interventi che finora sono serviti ad attuare la politica monetaria sono in larga misura basati sull’acquisto (o vendita) di titoli pubblici già in essere. In questo senso, si può dire che la Bce può aver indirettamente facilitato il finanziamento pubblico.
Ovviamente, l’unione monetaria implica l’impossibilità di ricorrere a manovre del tasso di cambio. Non sono pertanto possibili le svalutazioni con le quali i Paesi periferici ristabilivano la competitività perduta per effetto della maggiore dinamica inflazionistica interna.
La politica fiscale è demandata agli Stati e deve rispettare il Patto di Stabilità e Crescita (Psc), che fissa un obiettivo di pareggio o avanzo del bilancio pubblico per l’intero ciclo economico, con la possibilità di deficit non superiori al 3% in periodi di recessione. Negli anni più recenti, dopo la crisi (2012), è intervenuto anche il Fiscal Compact, che prevede deficit minori, al fine di ridurre di 1/20 all’anno l’eccesso rispetto al 60% del rapporto fra debito pubblico e Pil. Se attuata integralmente, questa norma richiederebbe l’azzeramento del deficit anche in tempi di recessione per un Paese come l’Italia, che finora ha goduto di proroghe e attenuazione della regola. Essa, dunque, dato l’aumento del debito a seguito della crisi finanziaria, impone una tendenza recessiva all’intera Unione, che si accentua per i paesi più colpiti dalla crisi, ossia i paesi periferici, come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo.
D’altra parte, la Procedura per gli Squilibri Macroeconomici (Macroeconomic Imbalance Procedure) introdotta nel 2011 prevede limiti diversi da osservare per i saldi fra esportazioni e importazioni rispetto al Pil (-4% e 6%). L’asimmetria fra limite del disavanzo e limite del surplus commerciale praticamente consente alla Germania di perseguire una politica di sviluppo guidato dalle esportazioni, a danno dei paesi deficitari. La Germania non ha comunque rispettato la norma, facendo ampiamente superare il limite del 6% ai suoi avanzi commerciali.
Non sono previste altre politiche macroeconomiche, come la politica dei redditi. Fino a pochissimi anni fa (prima dell’istituzione dell’Unione bancaria) non era in vigore neanche una comune regolamentazione finanziaria, microeconomica o macroeconomica.
Le politiche microeconomiche, industriali, regionali, sociali e ambientali sono affidate a un bilancio europeo da sempre estremamente limitato e sceso di recente all’1% rispetto al Pil europeo.
Le asimmetrie e gli squilibri
Contrariamente alle opinioni allora prevalenti, i mutamenti strutturali e comportamentali attesi nello stadio di preparazione alla costituzione dell’Unione monetaria europea mancarono o furono soltanto parziali o effimeri, almeno nei Paesi periferici del Sud dell’Europa. Mancò la sincronizzazione degli andamenti economici e finanziari nonché dei sottostanti ‘fondamentali’. Non furono sanate le inefficienze nei settori pubblico e privato. A fronte di queste inefficienze, i Paesi del Centro dell’Europa, principalmente la Germania, attuarono politiche di riduzione salariali sia prima sia dopo la costituzione dell’Ume. La conseguenza delle asimmetrie è stato l’insorgere o l’accrescersi degli squilibri macroeconomici, in termini di bilancio pubblico e saldo commerciale con l’estero. Né le politiche attuate successivamente in sede europea né le istituzioni dell’Unione hanno eliminato questi squilibri e li hanno forse ulteriormente accresciuti. Cercheremo brevemente di spiegare perché.
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*Memotef. Sapienza Università di Roma