Una farsa per l’opposizione, uno strumento per continuare la rivoluzione bolivariana aperta da Hugo Chavez: domenica 20 maggio in Venezuela si vota per le presidenziali, dove Nicolas Maduro cercherà di essere rieletto con un margine maggiore di quello ottenuto nel 2013. Senza dubbio il clima questa volta è incandescente. Il paese arriva provato dalla più grave crisi economico e sociale della sua storia recente, da un’inflazione galoppante e la mancanza di cibo e medicinali, che scarseggiano sui banchi dei supermercati e delle farmacie, e l’opposizione ha deciso di non presentare alcun candidato, perché mancano le garanzie minime di giustizia e trasparenza. Un giudizio condiviso da Unione europea, Stati Uniti, Canada e 14 paesi latinoamericani, tra cui Colombia e Argentina.
Ad affrontare Maduro, in una contesa che sembra dall’esito scontato, non ci saranno leader dell’opposizione, tra cui Henrique Capriles, inabilitato, né Leopoldo Lopez, condannato agli arresti domiciliari, ma Henri Falcon, chavista dissidente del partito Alleanza progressista, Javier Bertucci, ex pastore evangelico del movimento Speranza per il cambio, e Reinaldo Quijada, del partito Unità politica popolare. Diverse organizzazioni non governative hanno invitato sulle reti sociali a protestare il 20 maggio nelle diverse parti del mondo e ai venezuelani ad andare in chiesa con una bandiera indosso come segno di fede e protesta. Secondo le stime, Maduro può contare su uno zoccolo duro di 4-5 milioni di simpatizzanti, che confidano in lui per convinzione politica, esperienza personale, fedeltà a Chavez o semplicemente per la mancanza di un’alternativa. Tuttavia molti venezuelani sono combattuti tra l’andare a votare o astenersi, proprio per la mancanza di trasparenza nel voto. Secondo quello che denuncia l’opposizione infatti, il voto non sarà segreto, visto che si voterà con il ‘carnet della patria’, una sorta di ‘carta di razionamento elettronica’ grazie alla quale si riceverà una borsa con generi alimentari solo se si vota per Maduro. “Questo non è votare. Oggi non ci sono le condizioni perché si possa parlare di voto. Quello che stiamo facendo è lottare per garantire il diritto di voto”, ha detto alla Bbc Delsa Solorzano, vicepresidente del partito Tempo nuovo e uno dei volti dell’opposizione.
Maduro ha chiuso la sua campagna elettorale a Caracas davanti ad una marea rossa di simpatizzanti e con l’appoggio dell’ex Pibe de oro, Diego Armando Maradona, il tutto nel mezzo della rivolta carceraria dei prigionieri politici detenuti nell’Elicoide, sede del Servizio bolivariano di intelligence nazionale (Sebin). Nel suo discorso conclusivo ha invitato i suoi sostenitori a votare per assicurare “una grande vittoria al futuro della patria. È in arrivo una vittoria storica, che ci porterà in un Venezuela migliore”, e non ha risparmiato accuse ai suoi omologhi di Colombia e Argentina. Juan Manuel Santos, presidente colombiano, è stato definito una “marionetta dell’imperialismo”, perché ha annunciato che non riconoscerà i risultati delle elezioni, mentre il presidente argentino, Mauricio Macri, è stato chiamato “spazzatura”, perché ha consegnato il suo paese al Fondo Monetario internazionale dopo che il defunto Nestor Kirchner era riuscito a liberarlo. E da qui le critiche a Falcon, suo principale rivale, sono arrivate in un attimo, visto che ha “avuto la geniale di idea di pensare di ricorrere all’Fmi se sarà presidente”. Maduro ha invece promesso di risolvere la crisi economica del paese e dare l’avvio da una “rivoluzione economica che scuoterà il mondo intero”, e di convocare una grande giornata di dialogo nazionale per arrivare ad un accordo sulla crescita economica e protezione dell’economia nazionale”, combattendo le mafie dell’economia, la corruzione e la burocrazia, che procura danni al pari dell’impero Usa. Di sicuro, anche se vincerà, Maduro si troverà a far fronte a molte battaglie.