di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli
Con una lettera aperta pubblicata dal Financial Times perfino le società petrolifere riconoscono che devono fare di più per combattere il cambiamento climatico. Arrivando ad “assumere la responsabilità di tutte le emissioni” di gas serra, comprese quelle prodotte dall’impiego di combustibili fossili come la benzina per le auto o il gas con cui scaldiamo le nostre case. A chiederlo è un gruppo di 60 grandi investitori-fondi, banche e assicurazioni, che insieme gestiscono più di 10mila 400 miliardi di dollari e che alzano la pressione sulle major a livelli senza precedenti proprio a pochi giorni dalle assemblee degli azionisti, in cui l’ambiente promette di essere un tema centrale.
La Royal Dutch Shell voterà una mozione che chiede un taglio più aggressivo delle emissioni di Co2 rispetto al dimezzamento a cui il management “ambisce” entro il 2050. Nonostante le riserve, si sono schierati a favore anche la Church of England e il fondo pensioni dell’Agenzia per l’ambiente britannica. Il testo afferma che “a prescindere dal risultato all’assemblea di Shell” tutte le compagnie del settore dovrebbero “chiarire come vedono il loro futuro in un mondo low-carbon“. La richiesta in particolare è che le major assumano “impegni concreti” per ridurre in modo significativo la Co2, per stimare l’impatto delle emissioni legate all’impiego dei combustibili che producono e per “spiegare come i loro investimenti siano compatibili con il percorso verso gli obiettivi di Parigi“, che impegnano a contenere il riscaldamento globale almeno entro 2° C. Sono ormai diversi anni che il mondo della finanza ha preso coscienza dei rischi legati al cambiamento climatico: rischi non solo per l’ambiente, ma anche per gli investimenti stessi
Il 2018 è l’anno in cui dovrebbero essere realizzate le prime bozze dei Piani energia e clima, gli strumenti con cui i Paesi membri dell’Unione europea dovranno mostrare le politiche e le strategie per raggiungere gli obiettivi fossati per il 2030 e che per l’Italia rappresentano l’occasione per dare concretezza a quanto scritto nella Strategia energetica nazionale (Sen), predisposta oramai da quasi un anno.
Della Sen in verità, al di fuori degli addetti ai lavori e della stampa specializzata, se ne è parlato poco. Probabilmente non a torto perché si tratta di un documento che ha solo valore di indirizzo, approvato da un governo in scadenza, quasi un lascito a quello successivo per la sua messa in pratica. È comprensibile quindi che dopo la sua approvazione l’ad di Enel Francesco Starace, rispondendo ai giornalisti, abbia detto che “abbiamo la direzione ma non ci sono stati dati strumenti per arrivare agli obiettivi indicati”. Il tema di cui si era dibattuto era soprattutto quello della chiusura delle centrali a carbone entro il 2025, decisione che porrebbe qualche problema all’impianto di Torrevaldaliga nord, avviato nel 2009 e che quindi avrebbe bisogno di qualche anno ancora dopo il 2025 per ammortizzare l’investimento. La realtà però è che la politica si muove più lenta delle imprese perché il ministero ancora non ha dato l’ok a dismettere la centrale di umbra di Bastardo, che Enel ha deciso da tempo di non utilizzare più.
La Sen, ricordiamolo, prevede una decarbonizzazione completa (ossia chiusura di tutte le centrali a carbone) entro il 2025, produzione con fonti rinnovali del 55% dei consumi elettrici (quindi significa arrivare a generare 184 miliardi di chilowattora l’anno con le Fer (Fonti energetiche rinnovabili)] e riduzione dei consumi finali di energia dell’1,5% annuo fra il 2021 e il 2030.
Qual è la realtà? La realtà è che i consumi non scendono; Nel 2017 i consumi di energia primaria sono aumentati dello 0,8% rispetto al 2016. Di positivo è da segnalare che sono aumentati della metà rispetto all’aumento del Pil, che nel 2017 è cresciuto dell’1,5%. I consumi finali di energia sono invece aumentati dell’1,3% circa, dunque in misura di poco inferiore all’aumento del Pil; per citare Enea: “un segnale che nella forte contrazione dei consumi di energia dell’ultimo decennio l’auspicato disaccoppiamento tra crescita economica e consumi energetici ha avuto un ruolo meno rilevante di quello avuto dalla crisi economica”.
Nel 2017 si è consolidato il ruolo del gas naturale come prima fonte primaria del sistema energetico italiano, coprendo il 36,5% del totale. Per il terzo anno consecutivo i consumi sono aumentati in modo significativo (+6%, dopo il +5% del 2016). I consumi di petrolio sono invece diminuiti di un punto percentuale, il carbone presenta per il secondo anno consecutivo un calo in doppia cifra (-12% dopo il -10% del 2016) e si riduce al 6% del mix.
E le fonti rinnovabili? Per il terzo anno consecutivo sono in calo! L’aumento del solare e dell’eolico non hanno compensato la perdita dell’idroelettrico. Più volte abbiamo sostenuto che un sistema basato su queste fonti deve prevedere un mix dimensionato in modo da rendere complementari le fonti; e in Italia solare ed eolico sono fortemente sottodimensionate se si vuole che siano in grado di supplire all’acqua negli anni di siccità. Il risultato è stato l’aumento della generazione termoelettrica: +4,6% (dopo il +4,3% del 2016 e il +9,4% del 2015), che ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni.
Questi pochi numeri mostrano come la rivoluzione energetica sia ferma, mostrano che gli obiettivi della Sen al momento sono delle chimere: dal 2015 al 2030 per raggiungerli la generazione da Fer dovrebbe aumentare del 70%. I dati delle istallazioni dei primi tre mesi 2018 sono impietosi: fotovoltaico, eolico e idro non hanno superato i 138 Mw, con un calo del 5% rispetto al primo trimestre 2017.
Cosa scoveremo dal cilindro per implementare la Sen? Cosa scriverà il nuovo governo nel Piano per l’energia e il clima? Il contratto di governo Salvini-Di Maio appare estremamente deludente, clima ed energia emergono (o meglio scompaiono) come problemi molto secondari. La parola clima non è mai citata, compare il termine “cambiamento climatico” solo nella parte finale della sezione intitolata Ambiente, green economy e rifiuti zero (il che già stupisce): “In tema di contrasto al cambiamento climatico sono necessari interventi per accelerare la transizione alla produzione energetica rinnovabile e spingere sul risparmio e l’efficienza energetica in tutti i settori”; una frase così generica da essere perfetta forse per un programma elettorale non di certo per un programma di governo. E la parola “fonti rinnovabili” compare una sola volta in tutto il testo, sempre nelle righe finali di questa sezione. Impossibile commentare, manca qualsiasi elemento di concretezza.
Nessuna citazione sul decreto per le rinnovabili abbozzato dal ministero, nessun chiarimento se davvero per effetto della flat tax scompariranno tutte le detrazioni in vigore (senza le quali le installazioni casalinghe di pannelli fotovoltaici sparirebbero perché i tempi di payback praticamente raddoppierebbero), niente su come rinnovare il parco eolico, sul tema batterie, sulle comunità energetiche, sulla questione che si trascina da anni dello sblocco dei sistemi di distribuzione chiusa per dare la possibilità di fornire elettricità generata da un impianto rinnovabile, ad altre utenze contigue. Niente su questa già debole Sen o sul piano per il clima. Insomma, al momento il piatto è davvero vuoto. Il clima invece non sta fermo. Clima e ambiente sono uno dei nostri maggiori problemi, insieme alle diseguaglianze sociali. Come scrisse anche papa Francesco nella Laudato sì. L’avranno letta?