Da una parte c’è il voto del 4 marzo che “ha detto una cosa semplice e una difficile. Quella semplice è un desiderio di rottura; quella difficile è il compito ricostruttivo“. Dall’altra ci sono i poteri di Sergio Marttarella che “teoricamente potrebbe respingere le proposte fattegli. Ma, se lo immagina il caos che ne deriverebbe?”. Sono gli scenari disegnati da Gustavo Zagrebelsky in un’intervista al quotidiano Repubblica. Il capo dello Stato riceverà nel pomeriggio le delegazioni di Lega e Movimento 5 stelle per le consultazioni che potrebbero essere decisive per il governo.
Ma non è scontato che dal presidente della Repubblica arrivi un avallo totale alle proposte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. “Sembra si stia configurando un governo a composizione e contenuti predeterminati, totalmente estranei al Parlamento e al presidente della Repubblica. Il quale rischia di trovarsi con le spalle al muro per effetto di un contratto firmato davanti al notaio. Eppure, la nomina del governo spetta a lui. Lui non è un notaio che asseconda muto”, ha detto il presidente emerito della Corte costituzionale. “Se egli accettasse a scatola chiusa ciò che gli viene messo davanti, si creerebbe un precedente verso il potere diretto e immediato dei partiti, un’umiliazione di Parlamento e presidente della Repubblica, una partitocrazia finora mai vista”.
Quindi, come si comporterà il capo dello Stato? “Il presidente, ricordando vicende del passato, ha detto con chiarezza ch’egli intende far valere le sue prerogative. Potrebbe procedere a nuove consultazioni, e poi conferire un incarico corredato da condizioni che spetta a lui dettare, come rappresentante dell’ unità nazionale e primo garante della Costituzione“. Zagrebelsky ha qualche perplessità anche sui contenuti del contratto di governo siglato da Lega e M5s. “Questo – spiega – non è un contratto ma un accordo per andare insieme al governo. Insomma, un patto di potere, sia pure per fare cose insieme. Niente di male. Ma chiamarlo contratto è cosa vana e serve solo a dare l’idea di un vincolo giuridico che non può esistere”.
A focalizzare la preoccupazione del costituzionalista sono soprattutto “i vincoli generali di bilancio. Mi pare che, sulle proposte che implicano spese o riduzioni di entrate, si discuta come se non ci fosse l’ articolo 81 della Costituzione che impone il principio di equilibrio nei conti dello Stato e limiti rigorosi all’ indebitamento. Ciò non deriva (soltanto) dai vincoli europei esterni, ma prima di tutto da un vincolo costituzionale interno che non riguarda singoli provvedimenti controllabili uno per uno, ma politiche complessive”. L’ex presidente della Consulta si dice poi “colpito dalla superficialità con la quale si trattano i problemi della sicurezza. Dall’insieme, emerge uno Stato dal volto spietato verso i deboli e i diversi”, dall’autodifesa all’uso del Taser”, fino alle misure contro l’immigrazione clandestina: il presidente della Repubblica avrebbe motivo di intervenire, “contro involuzioni che travolgono traguardi di civiltà faticosamente raggiunti”. Quanto al “comitato di conciliazione“, osserva, è “cosa piuttosto innocua se rimane nella dinamica dei rapporti politici tra i contraenti. Cosa pericolosissima, anzi anticostituzionale, se dalle decisioni di tale comitato si volessero far derivare obblighi di comportamento nelle sedi istituzionali, del presidente del Consiglio, dei ministri, dei parlamentari”.