Tecnologia

Cosa fa Apple con i dati dei nostri iPhone

La mia infanzia mi ha fatto incrociare un solo Zaccaria. Era il “diavolo di terza categoria” della pubblicità (carosello si diceva allora) della marca di radio e televisori Minerva. In questi giorni di Zaccaria ne ho conosciuto un altro, che però – i tempi cambiano – ha a che fare con computer, tablet e smartphone.

È la storia di Zack Whittaker, brillante giornalista inglese trapiantato a New York, appassionato di divulgazione tecnologica e di tematiche legate a sicurezza e privacy. Incapace di resistere alla sua curiosità, Zack ha pensato di chiedere ad Apple di fornirgli i dati che la grande azienda aveva raccolto su di lui.

Mentre Facebook, Google e Twitter ci avevano impiegato meno di un’ora a far pervenire a Zaccaria tutto quel che avevano immagazzinato sul suo conto (e parliamo di centinaia di megabyte di informazioni che riguardavano la sua vita online), i signori di Apple hanno avuto bisogno di più di una settimana per spedire una ventina di fogli Excel che – in circa 5 Mb – riportavano le loro “tracce” dell’interessato.

Le informazioni che Apple raccoglie sul cliente sono rese disponibili per garantire la conformità dell’azienda alle norme del Regolamento europeo in materia di privacy. Il download di quei dati è quindi “obbligatorio” per legge e a breve questo genere di trasparenza (con le inquietanti conseguenze) diventerà cosa comune. La risposta è stata un file .zip che (viste le dimensioni complessive, c’era da aspettarselo) non conteneva né testi di messaggi né fotografie o video, ma raccoglieva un significativo quantitativo di “metadata”.

Siccome i meno esperti inciampano in un termine indigesto, perdiamo un istante a spiegare che il prefisso di origine greca metà in questo caso non deve maccheronicamente far pensare a informazioni dimezzate o incomplete. Il vero significato del termine è “per mezzo di”, “attraverso”, “mediante”. I metadati, infatti, altro non sono che elementi tramite i quali si possono ottenere più informazioni correlate alla singola sequenza alfanumerica e da questa “attivabili” ed espandibili. Se si pensa a un indirizzo url (un indirizzo web per dirla in maniera meno tecnica), pochi caratteri riescono a rivelare tutto il contenuto e il significato di quella destinazione contiene.

Uno dei fogli di calcolo (così si chiamavano in origine i prospetti di Excel e degli altri software di “spreadsheet”) ricevuti da Zack contiene la spiegazione dei “campi”, ovvero delle diverse voci cui corrispondono le colonne o le righe delle numerose tabelle realizzate con le informazioni dell’utente. Quella iCloudLogs.xlsx è il registro di tutte le operazioni di download da iCloud relative alla libreria fotografica, contatti e navigazione su Internet (con la totale trasparenza su gusti, interessi, passioni, opinioni e quant’altro caratterizzi l’interessato), mentre MailLogs.xlsx annota tutte le attività relative all’account di posta elettronica (senza però riportare il contenuto della corrispondenza).

Ci sono poi i log (ovvero la cronologia degli eventi) delle applicazioni di messaggistica istantanea FaceTime e iMessage, dove la crittografia impedisce di accedere agli estranei al contenuto dei messaggi ma non all’avvenuto e registrabile scambio di comunicazioni tra gli utilizzatori. Un’altra cartella contiene invece i file del dialogo tra utente e fornitore: Apple annota in AOS Orders i dispositivi e gli accessori acquistati nel tempo (fino ad arrivare al primo apparato che sigla l’inizio del rapporto con il cliente) e in altri file tutti i dettagli dei prodotti effettivamente installati e utilizzati, le richieste di supporto, le chiamate per ottenere assistenza, i problemi e le difficoltà incontrate (se si è inesperti o sfigati si viene inesorabilmente schedati), l’esistenza della garanzia e la relativa scadenza.

Tra le altre informazioni catalogate ci sono le connessioni ad iTunes con la precisazione di quando, da dove e con quale dispositivo lo si è fatto (qui includendo anche i tentativi di login che non sono andati a buon fine), ma anche e soprattutto i dati relativi al gaming ovvero alle diverse sessioni di gioco (Game Center è una porzione che si segna con cosa, quando e quante volte si è perso tempo e, magari, soldi).

Apple conosce perfettamente i gusti musicali dei suoi utenti perché memorizza quali brani vengono caricati e scaricati, ma non si accontenta di sapere questo: all’identificativo e al numero IP del dispositivo in uso (e anche di quello utilizzato negli anni precedenti se si è passati a un modello più recente) abbina pure la registrazione di applicazioni, video, film e altri contenuti multimediali ottenuti o movimentati attraverso iTunes.

Ci sono poi le informazioni relative alle riparazioni e agli interventi tecnici effettuati dallo staff della Apple, nonché quelle utili all’azienda produttrice per fare marketing sul cliente. Chi non ricorda qualcosa, magari fatta con un vecchio iPhone3 di più di 10 anni fa, adesso sa di poterla chiedere direttamente ad Apple, purché si ricordi l’id del prodotto utilizzato magari ripescando la vecchia confezione completa di dati sull’etichetta dell’involucro.

Il percorso per scoprire cosa questa impresa sa di voi è semplice. Basta collegarsi al sito Apple e navigarvi all’interno o raggiungere direttamente l’indirizzo www.apple.com/it/privacy/contact/ per accedere direttamente alla finzione di interesse. Sullo schermo, in posizione abbastanza centrale, appare la dicitura “Ho una domanda su” accanto alla quale un menu a tendina propone come prima voce proprio la privacy. Una volta fatto clic per confermare la propria selezione si devono seguire passo passo gli step per arrivare a ottenere le proprie informazioni che risultano memorizzate presso il produttore del dispositivo elettronico che stiamo adoperando.

A breve distanza di tempo, grazie ai fogli Excel che arriveranno via mail, si potrà salire su una sorta di macchina del tempo e viaggiare a ritroso negli anni. Peccato che al volante non ci sia l’utente.

P.S. Ma Tim Cook, numero uno di Apple, non era quello che criticava Facebook dopo lo scandalo Cambridge analytica e diceva che era vergognoso monetizzare i propri utenti e che per lui la clientela non era merce? Siccome non ho un servizio privacy per replicare alla curiosità del signor Cook, anticipo ogni richiesta a dimostrare l’asserzione appena fatta mettendo a disposizione la sua intervista alla rete televisiva Msnbc nel marzo scorso.

@Umberto_Rapetto