“Gravi lacune” nelle procedure di sicurezza e nei sistemi di controllo, dovute a “difetti tecnici e organizzativi”. Di più, il forno in cui i lavoratori sono morti soffocati era difettoso: non erano perfettamente funzionanti la centralina e il condotto di erogazione del gas argon, secondo quanto stabilito dal perito. E gli operai intervenuti in soccorso dei colleghi non erano consapevoli del rischio che stavano correndo. Insomma, non c’erano la sicurezza non era adeguata nella fabbrica metalmeccanica Lamina di Milano, dove una fuoriuscita di gas argon ha portato alla morte di 4 operai. È quanto ha stabilito la consulenza disposta dalla procura di Milano – ed eseguita dal consulente Battista Magna – nell’inchiesta sull’incidente dello scorso 16 gennaioLa fuga di gas soffocò tre dipendenti, morti immediatamente e un quarto per il quale, dopo l’accertamento della morte cerebrale da parte dei medici, venne dichiarato il decesso.

L’indagine condotta dai pm Gaetano Ruta e Maria Letizia Mocciaro, coordinati all’aggiunto Tiziana Siciliano, ipotizza il reato di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose per le morti di Marco SantamariaArrigo BarbieriGiuseppe Setzu e Giancarlo Barbieri mentre stavano eseguendo una manutenzione in un forno interrato dell’azienda, nel quartiere Greco. Assieme a loro, rimasero feriti anche i colleghi Alfonso Giocondo e Giampiero Costantino, tra i primi ad accorrere per prestare soccorsi.

La perizia ha evidenziato come alla Lamina mancassero le “procedure di sicurezza per i rischi connessi all’uso di gas argon per l’ingresso nell’ambiente confinato della fossa e durante il lavoro al suo interno” e non c’erano nemmeno “procedure di sicurezza sulla utilizzazione della centralina di allarme del livello di ossigeno, in particolare sulla gestione della funzione di tacitazione” dell’allarme stesso. Nel documento, tra le varie lacune in tema di sicurezza viene segnalata l’assenza dello “specifico documento di ‘Valutazione del rischio” e la mancanza della “identificazione formale dei rischi connessi all’uso di gas argon in fossa”.

Assente, si legge ancora, anche “un documento di gestione delle emergenze (e sulla definizione di cosa debba considerarsi un’emergenza) connesse all’uso di gas argon in fossa”.  Una “evidente emergenza”, scrive il consulente della procura, “è la presenza di persona priva di sensi entro la fossa”. In tale caso, “deve essere definito come operare” e “nel caso in esame non era disponibile una procedura per la gestione dell’emergenza”. E “mancando una definizione delle procedure da adottare in caso di emergenza è mancata anche la relativa formazione, va da sé anche l’addestramento, all’applicazione delle procedure”. Nella relazione viene chiarito, da quanto si è saputo, che almeno alcune delle quattro morti si sarebbero potuto evitare con sistemi di sicurezza adeguati e meccanismi di protezione.

Fin dalle prime battute dell’indagine sotto accusa, come anticipato da Il Fatto Quotidiano, c’è il sistema di allarme (staccato al mattino) e le valvole dell’impianto. Siamo in via Rho, periferia nord della città. Sono le 16.30, gli operai hanno finito il turno da mezz’ora ma sono ancora sull’impianto perché nella Lamina sono in corso dei lavori di manutenzione. “Stavamo facendo lo straordinario”, racconta uno di loro. Due operai scendono all’interno della vasca dove viene riscaldato l’alluminio, che poi deve essere lavorato e tagliato. Si tratta di un spazio interrato con un’area di circa 4 metri e profonda 2. Ad un certo punto però succede qualcosa.

L’allarme non suona ma si sentono delle grida, qualcuno chiede aiuto e ordina di mettere le maschere antigas. Il primo ad accorrere è Giancarlo Barbieri, fratello maggiore di Arrigo, che scende nel forno ma accusa subito anche lui un malore. Nel frattempo, tutti gli altri operai si accorgono della situazione e chiamano i soccorsi. Alle 16.50 arriva la chiamata al 118, otto minuti dopo le ambulanze sono sul posto: al loro arrivo i soccorritori trovano quattro persone in arresto cardiocircolatorio sul fondo del forno. Sono Santamaria, elettricista di 43 anni, che morirà pochi minuti dopo il ricovero all’ospedale Sacco, Arrigo Barbieri, responsabile di produzione di 58 anni, e Setzu, operaio di 49. Nei giorni successivi muore anche Giancarlo Barbieri, dopo aver lottato nel reparto di Terapia intensiva del San Raffaele.

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