Qual è il segreto del suono perfetto dei violini italiani? Secondo un mito del Barocco lo strumento ideale era quello che imitava la voce umana. E adesso c’è la prova che i liutai italiani, da Andrea Amati ad Antonio Stradivari, li progettavano in modo da riprodurla. Lo si sospettava da tempo, ma soltanto adesso arriva un esperimento che lo dimostra. Pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Italiane (Pnas), è stato messo a punto dal gruppo di Hwan-Ching Tai, della National Taiwan University, chimico e neuroscienziato appassionato di musica.

È la prima volta che si analizzato nel dettaglio le qualità acustiche di questi violini molto apprezzati da musicisti e collezionisti di cui si conoscono perfettamente i metodi di costruzione. Nell’esperimento, i ricercatori hanno confrontato le scale musicali di 15 antichi violini suonati da un musicista professionista al Museo Chimei di Taiwan con quelle di 16 cantanti, metà uomini e metà donne, di età compresa tra 16 e 30 anni. Le analisi hanno rivelato che un violino costruito dal 1570 dal liutaio cremonese Andrea Amati, considerato il padre del moderno violino a quattro corde, e un violino di Gasparo da Salò risalente al 1560, sono caratterizzati da frequenze più basse, simili a quelle di un baritono e pertanto imitano le voci maschili. Al contrario, Stradivari, nei suoi violini, aveva spinto questi toni più in alto nella scala musicale e il risultato era una voce più simile a quella femminile.

Questa caratteristica potrebbe spiegare il suono unico degli antichi violini italiani ed è in linea con quanto sostenuto, quasi due secoli dopo dalla costruzione di questi strumenti, dal violinista e compositore Francesco Geminiani: diceva “il tono del violino ideale dovrebbe ‘rivaleggiare’ con la voce umana”. Sono anni che Ching Tai cerca di individuare il segreto del suono perfetto degli antichi violini italiani e nel 2017 aveva scoperto che un procedimento usato da Stradivari per conservare il legno aveva conseguenze sulle proprietà meccaniche e acustiche dello strumento. In pratica il maestro cremonese, prima di costruire i suoi strumenti, imbeveva il legno d’acero in una soluzione di alluminio, calcio, rame, sodio, potassio e zinco, che interagiva con i minerali presenti nel materiale, influenzandone l’acustica. Tuttavia, in questo caso l’effetto secondario sul suono dello strumento era involontario, la sua nuova ricerca indica, invece, che gli antichi maestri progettavano i loro violini con lo scopo preciso di ottenere toni simili a quelli che la voce umana raggiunge nel canto.

Lo studio su Pnas

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