Un’altra condanna a risarcire per lo Stato. La Cassazione a sezioni Unite ha confermato la responsabilità dei ministeri di Difesa e delle Infrastrutture per l’abbattimento del DC9 dell’Itavia su Ustica. E i giudici della III sezione civile tra qualche mese stabiliranno se 265 milioni di euro bastano o sono troppi per risarcire l’Itavia fallita dopo l’abbattimento dell’aereo caduto in mare il 27 giugno 1980 con portandosi via la vita di 81 persone. La suprema corte ha motivato la decisione perché i minsteri hanno omesso “attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”.
A 38 anni dal disastro è uno dei primi punti fermi nell’odissea giudiziaria dei risarcimenti. Il volo I-Tigi partito da Bologna e diretto a Palermo fu colpito da un missile nei cieli italiani non adeguatamente protetti dai radar e dalla vigilanza del ministero della Difesa e da quello delle Infrastrutture. Era stata III sezione civile della Cassazione a chiedere alle Sezioni Unite di decidere se Itavia, in liquidazione da anni, avesse o meno il diritto di ricevere dai due ministeri – responsabili del disastro aereo – un ulteriore risarcimento per la perdita del Dc9 avendo già incassato a suo tempo, dall’assicurazione Assitalia, tre miliardi e ottocento milioni di vecchie lire. Ad avviso dei supremi giudici sciogliere questo controverso nodo di diritto della “compensatio lucri cum damno”, sul quale ci sono orientamenti contrastanti, era preliminare rispetto alla discussione sull’intero megarisarcimento da 265 milioni, cifra che in base a quanto deciso dalla Corte di Appello di Roma nel 2013, Difesa e Infrastrutture devono pagare all’Itavia con interessi che continuano a decorrere e che sono il ‘grosso’ della somma. Nell’ordinanza interlocutoria 15534 i supremi giudici ricordavano che la somma di 265 milioni, alla data del 2013, era composta da circa 27 milioni e mezzo di euro per risarcimento del danno, da circa 105 milioni di euro per rivalutazione e da circa 132 milioni di euro per interessi, oltre agli interessi legali sulla sentenza al saldo.
Il Dc-9 I-Tigi Itavia, in volo da Bologna a Palermo con il nominativo radio IH870, scomparve dagli schermi del radar del centro di controllo aereo di Roma alle 20.59 e 45 secondi del 27 giugno 1980. L’aereo era precipitato nel mar Tirreno, in acque internazionali, tra le isole di Ponza e Ustica. All’alba del 28 giugno vennero trovati i primi corpi delle 81 vittime (77 passeggeri, tra cui 11 bambini, e quattro membri dell’equipaggio). Il volo IH870 era partito dall’ aeroporto ‘Guglielmo Marconi’ di Borgo Panigale in ritardo, alle 20.08 anziché alle previste 18.30 di quel venerdi’ sera, ed era atteso allo scalo siciliano di Punta Raisi alle 21.13. Alle 20.56 il comandante Domenico Gatti aveva comunicato il suo prossimo arrivo parlando con “Roma Controllo”.
Il volo procedeva regolarmente a una quota di circa 7.500 metri senza irregolarità segnalate dal pilota. L’aereo, oltre che di Ciampino (Roma), era nel raggio d’azione di due radar della difesa aerea: Licola (vicino a Napoli) e Marsala. Alle 21.21 il centro di Marsala avvertì del mancato arrivo a Palermo dell’aereo il centro operazioni della Difesa aerea di Martina Franca (Taranto). Un minuto dopo il Rescue Coordination Centre di Martina Franca diede avvio alle operazioni di soccorso, allertando i vari centri dell’aeronautica, della Marina militare e delle forze Usa. Alle 21.55 decollarono i primi elicotteri per le ricerche. Furono anche dirottati, nella probabile zona di caduta, navi passeggeri e pescherecci. Alle 7.05 del 28 giugno vennero avvistati i resti del DC 9. Le operazioni di ricerca proseguirono fino al 30 giugno, vennero recuperati i corpi di 39 degli 81 passeggeri, il cono di coda dell’aereo, vari relitti e alcuni bagagli delle vittime. Una delle ultime sentenze risale al 29 giugno dell’anno scorso quando lo Stato fu condannato a risarcire 29 familiari: “L’aereo fu abbattuto da un missile. E dopo ci furono depistaggi”.
Le sezioni Unite civili hanno dichiarato “inammissibile il ricorso con il quale Difesa e Infrastrutture hanno contestato di essere responsabili della caduta del volo I-Tigi per “fatto illecito” costituito dall’omesso controllo dei cieli, così come stabilito dalla Corte di Appello di Roma con due distinti verdetti del 2012 e del 2013 nei quali i magistrati capitolini avevano dato il via libera alla richiesta risarcitoria portata avanti da Itavia in amministrazione straordinaria.
La compagnia aerea, costretta a chiudere i battenti da una campagna denigratoria, era stata fondata dall’imprenditore marchigiano Aldo Davanzali, morto nel 2005. Poi a prendere il testimone nella battaglia contro lo Stato italiano, difeso anche in Cassazione dall’Avvocatura erariale, erano state le figlie Luisa e Tiziana. Nonostante il governo Letta avesse deciso di non fare più ricorso contro il diritto dei familiari delle vittime di Ustica ad essere risarciti, dalla ‘pax’ era stata esclusa Itavia e infatti la contesa continua ed ora è arrivata alle battute finali.
“Finalmente anche la Cassazione ribadisce quello che era già stato rilevato in altre sedi. Resta il dramma di una verità negata il giorno dopo la strage e per lunghi anni ancora”. Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle Vittime della Strage di Ustica, sorella di una delle vittime, commenta con l’Adnkronos la sentenza della Cassazione. “Era compito dei due ministeri garantire la sicurezza del volo. A loro, ha detto in pratica la Cassazione, spettava l’onere di capire cosa stesse accadendo nei nostri cieli. Bastava avvisare il pilota e non è stato fatto. Il dramma è che tutto ciò è stato negato dal giorno dopo la strage. In tanti anni, tante menzogne e questo è sempre più palese. I nostri militari si sono lasciati incriminare per alto tradimento ma la verità dalla loro bocca non è mai venuta fuori. È dal 1999 che abbiamo la certezza dell’abbattimento dell’aereo ma l’Italia, cosa vergognosa, non riesce a farsi dire chi sono i responsabili”. Bonfietti pensa ad Aldo Davanzali, morto a 83 anni nel 2005, che poco prima della morte annunciò che stava per chiedere un risarcimento allo Stato per i danni patrimoniali e morali subiti dopo la strage di Ustica, che con l’abbattimento del DC-9 e la morte di 81 passeggeri segnò anche il tracollo della sua compagnia aerea e del suo impero economico. “Ha lottato tutta la vita per la verità- osserva Daria Bonfietti -. Solo i figli possono vedere che il loro padre aveva ragione. Questa sentenza possa in qualche modo rendergli onore”.