La Corte Costituzionale ha sancito che l’estensione al 2020 del contributo di 750 milioni di euro imposta alle Regioni ordinarie con la legge di bilancio per il 2017 è incostituzionale. Lo Stato dovrà trovare la cifra mancante in altro modo. La censura dei giudici della Consulta riguarda l’articolo 1 comma 527 della manovra approvata a dicembre 2016, che era stato impugnato dal Veneto. Il contributo delle Regioni era già previsto in un decreto legge dell’aprile 2014 e con quella norma il governo aveva esteso per la terza volta di un anno l’ambito temporale della manovra che in origine doveva essere limitata al triennio 2015-2017.
Secondo la Corte, il “raddoppio surrettizio della durata di una manovra di finanza pubblica” è “in contrasto con il canone della transitorietà che deve caratterizzare le singole misure impositive di risparmi di spesa alle Regioni”. La sentenza “non esclude che sia lecito imporre alle Regioni risparmi anche di lungo periodo“, spiega una nota, “ma ribadisce che le singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare il carattere della temporaneità e richiedono che lo Stato definisca di volta in volta, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro organico delle relazioni finanziarie con le Regioni e gli enti locali, per non sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici delle singole manovre di finanza pubblica”, dice ancora la nota.
I giudici costituzionali hanno anche segnalato che l’imposizione alle regioni di contributi alla finanza pubblica incide sul livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, “sicché lo Stato, in una prospettiva di lungo periodo, dovrà scongiurare il rischio dell’impossibilità di assicurare il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza in materia sanitaria e di garanzia del diritto alla salute”. “Tale rischio dovrà essere evitato, eventualmente, mediante il reperimento di risorse in ambiti diversi da quelli riguardanti la spesa regionale”, aggiunge il comunicato.
La sentenza afferma anche che le autonomie speciali non devono sottrarsi agli accordi bilaterali con lo Stato finalizzati a stabilire la quota della loro contribuzione.