In pensione con la “quota 100” come somma di età e anni di contribuzione? “Sotto c’è il trucco, perché il contratto di governo Lega-M5s prevede che per l’operazione siano stanziati solo 5 miliardi. E consentire l’uscita dal lavoro a tutti i sessantenni con 40 anni di contributi costerebbe molto di più. E’ evidente che verrà fissata un’età minima di uscita, molto probabilmente a 64 anni con almeno 36 di contributi”. Stefano Patriarca, ex consulente di Palazzo Chigi sulla previdenza e ora a capo della società di consulenza Tabula, interpreta così il capitolo del contratto dedicato al superamento della legge di Fornero, parola d’ordine su cui pur con diverse sfumature Carroccio e pentastellati concordano da sempre.
Nel documento sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini si legge: “Daremo fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto conto dei lavoratori in mansioni usuranti“. Mercoledì il presidente dell’Inps Tito Boeri ha ricordato che un’operazione del genere avrebbe “un costo immediato di 15 miliardi all’anno” per salire poi “a regime a 20 miliardi”. Ma, appunto, “sul contratto di governo c’è una cifra diversa, 5 miliardi. Per arrivare a questa cifra ci sarebbe bisogno di inserire finestre che impongano un ritardo di 15 mesi”. Quota 100 diventerebbe dunque – almeno – 101. “Bisognerebbe essere molto espliciti”, ha commentato Boeri, “avere l’onestà intellettuale di dire cosa vogliono fare e che cosa c’è e cosa non c’è esattamente in quota 100”.
Secondo Patriarca il punto di caduta sarà “la limitazione di cui ha parlato Alberto Brambilla, che ha curato la parte previdenziale del programma della Lega: verrà fissata un’età minima di uscita a 64 anni. Una scelta che però – associata all’esaurimento dell’Ape sociale – rischia di favorire chi ha avuto carriere più lunghe e stabili e redditi più alti e penalizzare gli altri”. Infatti oggi l’Anticipo pensionistico gratuito per le categorie svantaggiate, varato dal governo Gentiloni per chi ha iniziato a lavorare giovanissimo, chi ha svolto sei anni di attività gravose negli ultimi sette, le persone disabili e i familiari che le assistono, consente già di andare in pensione prima dei 64 anni. Esaurita la possibilità di accedere a questo scivolo, che era stato introdotto in via sperimentale fino a dicembre 2018, per tutti resterebbe dunque solo la quota 100 ma con il limite minimo di età.
Il capitolo del contratto dedicato alle pensioni prevede anche la proroga di “opzione donna“, la misura che permette alle lavoratrici di 57 anni (se dipendenti) o 58 anni (se autonome) e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito optando però in toto per il regime contributivo, quindi con un taglio dell’assegno. Questo però “utilizzando le risorse disponibili”. Patriarca fa notare che le risorse “non ci sono perché quelle rimaste vanno utilizzate a copertura della domande che si possono ancora presentare entro il 2018”.
Non è chiaro infine – non se ne trova cenno nel contratto – se i due contraenti del patto di governo intendano rimettere mano all’indicizzazione dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, introdotta nel 2010 dal governo Berlusconi e anticipata dal decreto Salva Italia di Mario Monti. Nel 2019 il meccanismo farà salire l’età pensionabile a 67 anni. Stando all’ultimo rapporto Inps, nel 2017 gli italiani che sono andati in pensione di vecchiaia avevano in media 63,5 anni e quelli che hanno ricevuto il trattamento di reversibilità dopo la morte del coniuge 73,9. L’età media alla decorrenza di tutti i trattamenti previdenziali (quelli originati dal versamento dei contributi) erogati nel 2017 è stata di 66,4 anni, il massimo storico: nel 2003 era di 61,9 anni.