Se, come pare probabile, oggi Sergio Mattarella darà mandato a Giuseppe Conte di formare il nuovo governo, si chiuderà la telenovela degli ultimi giorni, che ha riempito intere pagine di giornali e decine di ore di talk show televisivi, basata sul nulla.
Beninteso, non metto certo in dubbio che essere generosi nella scrittura del proprio curriculum non sia un problema serio. Ma non per l’Italia. Non lo è mai stato. Né per i ministri che avevano millantato titoli di studio che non avevano, né per quelli accusati di aver copiato parte della propria tesi. Né per coloro che sono stati candidati benché indagati o addirittura proprio perché indagati, né per chi è stato salvato dalla giunta del Parlamento dal carcere perché condannati.
Questa è l’Italia nella quale hanno trovato fertile terreno le idee demagogiche e populiste che sono riuscite ad ottenere la fiducia di molti italiani, fino a giungere alle soglie di Palazzo Chigi.
Ora, se il presidente Mattarella non avesse deciso di fare questo passo, ci saremmo trovati in una situazione balcanica di una parte politica contro un’altra, entrambe sbraitanti in televisione e nelle aule parlamentari scambiate per set televisivi, e questo sarebbe stato più pericoloso. Tutto questo con la chiara certezza che le urlate di Alessandro Di Battista verso Mattarella, oltre che verso l’articolo 92 della Costituzione, possono fare molto male alla nostra antica ma attualmente tentennante democrazia.
Questa mia riflessione non è neanche perché credo sia il caso di “lasciarli lavorare”, perché, come l’amico Alessandro Gilioli ha lucidamente evidenziato “La democrazia è critica e senza critica non c’è democrazia. ‘Lasciamoli lavorare’ è la supina accettazione dei servi”.
“Lasciamoli lavorare” è una frase da analfabeti assoluti della democrazia quale che sia il premier: Berlusconi, Renzi, Salvini, Di Maio o altri. La democrazia è critica e senza critica non c’è democrazia. “Lasciamoli lavorare” è la supina accettazione dei servi.
— Alessandro Gilioli (@piovonorane) 11 maggio 2018
Ma per esercitare questa critica, non bastano le oltre 50 pagine di “Contratto di Governo” che è una serie di enunciazioni di belle intenzioni senza scadenze, coperture finanziarie e modalità chiare.
Da domani, probabilmente, servirà tutto un altro atteggiamento. Non più gossip, ma confutazione di dati; non più stati d’animo, ma capitolati di spesa; non più slogan urlati nelle piazze (telematiche, televisive e reali), ma decreti attuativi e proposte di legge. E questo è un invito rivolto a tutti.
Su tutto ciò, noi cittadini saremo chiamati ad uno sforzo critico supplementare. Dovremo impegnarci a capire se le pagine scritte nel “Contratto” sono solo un libro dei sogni – quelle che parlano di ambiente e economia sostenibile – o degli incubi – soprattutto quelle che vorrebbero l’istituzione di un “Comitato di conciliazione” e l’introduzione del “Vincolo di mandato“, che tradotti vogliono dire che tutti i ministri parlamentari saranno obbligati a fare ciò che dice il loro capo o segretario di partito. Oppure si sta facendo sul serio.
In altre epoche, che sembrano lontanissime ma se facciamo i conti sono solo di qualche anno fa, proponevo di trasformarci in “Sentinelle della democrazia” per vigilare tutti gli atti dei nostri governanti. Forse è arrivato il momento di riprendere in mano quelle esperienze, per uscire dai talk, entrare nella realtà e avvertire – come solo i movimenti riescono a fare – i nostri governanti che non siamo più disposti a farci prendere per i fondelli.