I segretari generali per ore al tavolo con i vertici dei futuri acquirenti, ma l'ultima offerta fatta dalla cordata AmInvestco viene definita "non allettante". L'azienda aveva messo sul piatto incentivi all'esodo volontario, confermando però gli 8.500 occupati a regime. Palombella (Uilm): "Differenze sostanziali e proposte fumose e labili. Non arretriamo di un millimetro". Il ministro: "A luglio finisce la cassa, negoziare si può e si deve"
Le distanze restano “ancora importanti”, ma ormai la trattativa tra sindacati e i futuri proprietari dell’Ilva va avanti a oltranza. Martedì i rappresentanti dei metalmeccanici e i vertici europei di Arcelor Mittal sono rimasti chiusi, faccia a faccia attorno a un tavolo, dalle 11 fino a notte fonda. Un segnale, quanto meno di buona volontà, di cercare un accordo per evitare che si arrivi al 30 giugno senza accordo: da quel momento, come deciso nel contratto d’affitto, gli acquirenti possono proseguire senza l’intesa con i sindacati. Una situazione che vogliono evitare tutti. Eppure gli scogli restano e al momento, almeno all’esterno, non filtrano notizie rincuoranti.
L’ultima offerta di AmInvestco, la cordata guidata da Arcelor che un anno fa si è aggiudicata il gruppo siderurgico, prevede esodi incentivati e volontari per circa 2mila lavoratori, altri mille finirebbero in carico all’amministrazione straordinaria che si occuperà delle bonifiche e resterebbero quindi i 10mila riassunti. Ma lo schema, proposto martedì ai Cgil, Cisl, Uil e Usb, non si schioda dagli 8.500 occupati previsti a regime, cioè dopo il 2023, data in cui è prevista la fine dei lavori di ambientalizzazione. E i sindacati fanno muro.
Nonostante al tavolo siano arrivati i vertici di AmInvestco e di Arcelor, Matthieu Jehl e Geert Van Poelvoorde. Un segnale – filtra da fonti vicine alla futura proprietà – “di buona volontà”. L’apertura però ancora non c’è, nonostante nel pomeriggio di martedì la riunione a un certo punto sia stata interrotta: i segretari generali Francesca Re David, Marco Bentivogli, Rocco Palombella e Sergio Bellavita hanno atteso che da AmInvestco arrivasse una proposta scritta. “Nulla di allettante”, filtrava in serata da fonti sindacali.
La trattativa “non ha prodotto risultati sufficienti per ritenere di essere in una fase avanzata e propedeutica a un accordo”, ha spiegato Palombella perché restano ancora “differenze su temi sostanziali, come quelli delle condizioni salariali e la difesa dei livelli occupazionali“. Risultati “fumosi e labili” che spingono i sindacati a confermare: “Non arretriamo di un millimetro”. La condizione preliminare – sintetizza Re David, leader della Fiom-Cgil – è la “garanzia dell’occupazione per tutti i 14mila dipendenti e la salvaguardia dei salari e dei diritti”.
Azienda e rappresentanti dei metalmeccanici hanno ripreso a trattare la scorsa settimana dopo che il 10 maggio lo stop era arrivato al ministero dello Sviluppo Economico, dopo il no delle sigle alla bozza presentata dal ministro Carlo Calenda che prevedeva l’assunzione di 10mila lavoratori da parte di Arcelor Mittal, mentre altri 1500 sarebbero finiti in carico ad una newco guidata da Invitalia. La questione più spinosa riguardava i restanti 2300 in capo all’amministrazione straordinaria: per questi il piano del Mise, qualora a 12 mesi del termine temporale previsto per la realizzazione del piano ambientale ed industriale fossero rimasti senza prospettiva occupazionale stabile, prevedeva l’impegno ad individuare soluzioni in grado di dare prospettive occupazionali stabili a tempo indeterminato. Tutto irricevibile, per i lavoratori.
Secondo quanto si apprende non è stato fatto alcun discorso riguardante il nascente governo giallo-verde (con il M5S che parla di chiusura degli stabilimenti, anche se non nel “breve periodo”), mentre Calenda è tornato a farsi sentire dal palco dell’assemblea di Confindustria: “Il governo tramite l’amministrazione straordinaria è disponibile a mettere sul piatto ulteriori risorse per chiudere nelle prossime ore”, ha detto il titolare uscente del Mise. “Negoziare si può e si deve”, ma occorre fare “presto”, perché l’azienda “finirà la cassa nel mese di luglio e ricominciare tutto da capo o per seguire chi propone soluzioni tecnologiche irrealizzabili rischia questa volta di provocare una chiusura tutt’altro che progressiva”.
Un riferimento alla riconversione a gas, caldeggiata da più parti a iniziare da Michele Emiliano, al quale “lasciamo i deliri dei populisti ‘alle vongole’, anzi ‘alle cozze pelose’ per essere più precisi, fuori dai tavoli sindacali” ha aggiunto Calenda senza nominare il governatore pugliese. Eppure sulla riconversione a gas – a sorpresa – è arrivata un’apertura sul lungo periodo del commissario Piero Gnudi: “Riconversione Ilva? Il tavolo non è chiuso, sulla riconversione tutto è possibile ma a breve si fa fatica c’è un problema di sostenibilità economica“.