L’Italia resterebbe al secondo posto tra i paesi Ocse per spesa pensionistica rispetto al pil anche separando il costo della previdenza in senso stretto da quello dell'”assistenza”, come proposto nel contratto di governo Cinque stelle – Lega. Un’operazione che tra l’altro non sarebbe corretta per il confronto a livello internazionale, dato che “tutte le definizioni sono omogenee e comprendono i due tipi di spesa. Ma anche se lo si facesse, senza sottrarre nulla per gli altri paesi, la spesa italiana rimarrebbe tra le più alte”. Sono le conclusioni dello studio sulle pensioni pubblicato mercoledì dall’Osservatorio dei Conti Pubblici diretto dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli.

“Separare i conti di previdenza e assistenza – si legge nel rapporto – non coglie l’origine del problema: è proprio l’invecchiamento della popolazione ad alimentare la spesa previdenziale, e quindi la questione non dipende da nessuna tendenza relativa a spese di natura genericamente assistenziale”. Una tesi sostenuta invece dai due firmatari del contratto di governo e dai sindacati. L’Italia spende il 16,3% del Pil per le pensioni, il doppio della media Ocse, dietro solo alla Grecia, ma anche con lo scorporo della spese assistenziali rimarrebbe in quella posizione. Il nostro Paese non è secondo a nessuno invece per le tasse pagate sulle pensioni, ma anche considerando il netto l’Italia rimane inchiodata in seconda posizione.

M5s e Lega nel contratto promettono l’uscita dal lavoro con “quota 100” (somma di età e anzianità) o dopo 41 anni di contribuzione. Una riforma che secondo il presidente Inps Tito Boeri avrebbe “un costo immediato di 15 miliardi all’anno” per salire poi a regime a 20 miliardi. Nel documento si parla di uno stanziamento di 5 miliardi, il che comporterebbe però la fissazione di un tetto minimo all’età di uscita.

Cottarelli dal canto suo propone invece di intervenire sugli assegni ancora calcolati sulla base del vecchio metodo retributivo: “Io avevo ipotizzato”, ricorda l’economista intervistato dal Sole 24 Ore, “una revisione per gli assegni superiori ai 50mila euro lordi all’anno, con un taglio del 50% dell’eccedenza rispetto al calcolo contributivo e una clausola di salvaguardia per impedire riduzioni superiori al 10% del trattamento complessivo”. Questa scelta rimetterebbe in gioco una cifra intorno ai 2-3 miliardi, ma andrebbe a toccare tante pensioni e per questo risulta politicamente complicata da prendere. Una misura simile è prevista anche nel contratto, ma riguarda solo trattamenti sopra i 60mila euro netti all’anno, una platea di appena 12mila persone in Italia. Tagliare le loro pensioni, sempre secondo l’Osservatorio, consentirebbe di risparmiare poco più di 100 milioni di euro. A fronte di un centinaio di miliardi di maggiori uscite tra flat tax, reddito di cittadinanza e altre misure previste dal contratto.

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