Politica

Populismo di lotta e di governo

Secondo un sondaggio, riportato anche da questo giornale, il governo M5S-Lega che si sta formando in questi giorni giova più alla Lega che al M5S. Sebbene tutti i sondaggi vadano presi con le molle e non di rado si rivelino erronei, il dato merita una riflessione: entrambi i partiti si sono affidati ad una propaganda populista, e formare un governo dovrebbe essere un titolo di merito per entrambi.

Il populismo è oggi diffuso: la politica del Terzo millennio, per ora, lo premia in molti paesi, dagli Usa di Trump alla Gran Bretagna della Brexit. Populismo è, per definizione, la politica che si rivolge ad un gruppo, identificandolo come “popolo”, anche quando numericamente è minoritario, e glorificandolo come portatore unico di valori e vittima degli “altri”, da cui intende proteggerlo. Ovviamente il popolo non coincide con l’intera popolazione della nazione interessata: i populismi possono al massimo cercare di conquistare corpose minoranze o maggioranze più o meno stiracchiate. La narrazione populista è semplicistica: ciò che è buono sta sempre nel gruppo di riferimento, ciò che è cattivo sta sempre negli “altri” e non esistono opzioni e fatti né buoni né cattivi, o intermedi, o dubbi, o contenenti aspetti buoni e aspetti cattivi: le categorie del buono e del cattivo esauriscono la descrizione dell’esistente. Questo semplicismo ha richiamato a molti il romanzo 1984 di Orwell, nel quale per ordine del Grande Fratello si riformula il linguaggio per produrre la neolingua, semplificata, che impedisce qualunque analisi storico-politica minimamente raffinata e consente soltanto di affermare che un certo evento è buono oppure “sbuono”.

Le principali ricette del populismo italiano sono quelle della Lega, di Berlusconi e del duo Grillo-Casaleggio. Il populismo leghista è il più antico ed in fondo il più semplice: Bossi aveva raccolto pregiudizi e preconcetti, pazientemente ascoltati dalla viva voce dei membri del suo “popolo” e con quelli aveva confezionato un programma politico. Berlusconi, forte delle sue televisioni, aveva offerto agli italiani un modello di società opulenta e sprecona: il suo programma politico era fatto di sogni. I festini di Arcore con le diciottenni (e minori) non erano soltanto momenti ludico-sessuali, ma anche parte integrante del modello Berlusconiano e del sogno dei suoi elettori.

Gianroberto Casaleggio, usando Beppe Grillo come frontman, ha inventato un modello molto più potente e raffinato dei due precedenti. Casaleggio ha utilizzato il web che, essendo uno strumento interattivo, consente all’utente di produrre contenuti. Nei siti dei MeetUp e nei commenti al blog ogni utente ha potuto riversare i suoi pregiudizi, i suoi sogni e la sua indignazione ed ha potuto credere che il contenuto da lui prodotto diventasse parte del programma dell’intero Movimento. Casaleggio aveva capito che il web possiede una potenza propagandistica enorme rispetto a strumenti non interattivi come i giornali e la televisione. Mentre Bossi e Berlusconi dovevano confezionare un messaggio che fosse condivisibile per il “popolo” che si erano scelto, escludendo chi in quel messaggio non si riconosceva, Casaleggio e Grillo lasciavano che ciascuno si scrivesse da sé stesso il messaggio che piaceva a lui, e nessuno si sentiva escluso.

Il metodo populista ha comunque una caratteristica costante: non è necessario convincere il destinatario della bontà del messaggio, perché ne è già convinto. Nessuno sforzo, nessuna riflessione, nessuna crescita culturale è richiesta ad alcuno per essere d’accordo sui propri pregiudizi, sui propri sogni o sulla propria rabbia.

Il metodo di Casaleggio, nonostante il suo successo, ha un limite che si rende evidente quando dalla propaganda passa all’azione di governo: M5S deve chiarire quali tra i tanti messaggi che i suoi elettori avevano ritenuto contenesse è quello che sarà effettivamente realizzato. Certamente gli elettori che avevano creduto di votare un partito di sinistra ritengono l’alleanza coi leghisti una sorpresa sgradevole, di qui il calo di consenso. La Lega risente meno di questa ambiguità: forse i suoi elettori pensano che l’alleanza dimostra che dopo tutto M5S è un partito di destra, una sorpresa gradita; forse addirittura attribuiscono a Salvini il merito di aver redento il M5S dalle sue tendenze di sinistra.